la parola della domenica
Anno
liturgico B |
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Is
50,4-7 Rompo
il silenzio con questo breve commento, piccola e povera parola, perché
la Parola grande è quella della Croce, è il Crocifisso,
la Parola grande l'abbiamo già ascoltata. E
la prima è l'emozione davanti alla dismisura della condivisione. La
seconda emozione: c'è tutta un'umanità che ruota intorno
al Crocifisso: le autorità religiose e il loro fariseismo: si uccide
l'innocente ma quei soldi, i soldi del tradimento, dice il passo parallelo
di Matteo, non vanno mescolati al tesoro del tempio; le autorità
politiche interessate al potere; i soldati che infieriscono: tanto loro
ubbidiscono agli ordini! E tutti quelli che passano sotto la croce, a
insultarlo, a schernirlo. E
dentro questa umanità, spiraglio di luce, piccolo spiraglio di
luce, le donne e il centurione pagano. E
c'è il centurione pagano. Forse bisogna essere un po' tutti lontani
come quel centurione pagano e non pieni delle nostre idee su Dio, delle
nostre pretese su Dio. E chiamare Figlio di Dio colui che muore con un
urlo sulla Croce, perché questa è la nostra buona notizia,
l'evangelo: il fatto che Dio non è sceso dalla Croce, non ha salvato
se stesso, ma ha dato la vita per noi. "Dall'inizio del dramma algerino" -diceva il Vescovo di Orano- "mi hanno spesso chiesto: "Che ci fate laggiù? Perché restate?". Siamo là a causa di questo Messia crocifisso. A causa di nient'altro e di nessun altro. Non abbiamo interessi da salvaguardare, né influenze da conservare. Non siamo neanche spinti da chissà quale perversione masochista o suicida. Non abbiamo alcun potere: restiamo in Algeria come al capezzale di un amico, di un fratello malato, in silenzio, stringendogli la mano, rinfrescandogli la fronte. A causa di Gesù, perché è lui che soffre, in questa violenza che non risparmia nessuno, nuovamente crocifisso nella carne di migliaia di innocenti. Come Maria, come Giovanni, stiamo là, ai piedi della croce su cui Gesù muore, abbandonato dai suoi, schernito dalla folla. Non è forse essenziale per un cristiano essere là, nei luoghi di sofferenza, di abbandono? Dove potrebbe mai essere la chiesa di Gesù Cristo se non fosse innanzitutto là? Per quanta possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità della chiesa proviene da lì. Non da altrove né altrimenti. Tutto il resto è solo fumo negli occhi, illusione mondana. La chiesa inganna se stessa e il mondo quando si pone come potenza in mezzo alle altre, come un'organizzazione, seppur umanitaria, o come un movimento evangelico spettacolare. Può brillare, ma non bruciare dell'amore di Dio, "forte come la morte" (Ct 8,6). Si tratta infatti proprio di amore, innanzitutto di amore e solo di amore. Una passione di cui Gesù ci ha donato il gusto e tracciato il cammino: "Non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici" (Gv 15,13)". |
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