la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella VI Domenica di Pasqua
secondo il rito romano



 

 

At.8,5-8.14-17
Sal 65
1 Pt.3,15-18
Gv.14,15-21

Questo essere l'uno nell'altro. Quanta intimità. Anche con Dio, anche con Gesù.

Può essere che qualcuno abbia ascoltato -annota un autore- con un malcelato senso di fastidio queste parole di Gesù: "Sembra roba da suore e non delle più giovani, qualcosa che fa venire in mente un cristianesimo tutto giocato nel primato, ignaro delle fatiche e delle angosce dell'umanità, al di fuori dei problemi che affliggono la gente". (D.Pezzini).

Lo Spirito -diceva Gesù- voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi... "Io sono nel Padre e voi in me e io in voi". A prima vista sì, possiamo ritenere eccessivamente intimistiche queste parole di Gesù, che richiamano un'altra dimora, una dimora meno pensata e di cui ci si preoccupa meno. Ci preoccupa di più la dimora esteriore, la dimora della casa -la casa edificio-. Non dico che non contino: noi dovremmo lavorare per una società che permetta a tutti di abitare una casa. Ma c'è un'altra dimora, altrettanto importante, starei per dire più importante, tanto che se non c'è questa, la dimora interiore, anche la dimora esteriore perde di calore e di luminosità. Ed è l'altro. Pensate, l'altro come dimora. Se si è in una casa, anche bella, ma chi vive con te fisicamente, è fuori con i suoi pensieri, non ha dimora in te, che vita è? che casa è? Questo per dire che quando Gesù ci parla di lui che dimora in noi e di noi che dimoriamo in lui, non ci dice cose così astratte, ma cose che si avvicinano molto all'esperienza dell'amore, che è un dimorare uno nell'altro fisicamente e spiritualmente e l'altro è diventato tua dimora. Certo potremmo usare altre immagini: mi sono venute alla mente le immagini del Cantico dei Cantici, che ho ascoltato, sempre con emozione, giorni fa, a un matrimonio.

E ho pensato che in qualche misura -se sta questo discorso- potrebbero essere riferite anche al rapporto dei discepoli con il Signore.

"Mettimi come sigillo sul. tuo cuore
come sigillo sul tuo braccio
Perché forte come la morte è l'amore...
Le grandi acque non possono spegnere l'amore
né i fiumi travolgerlo". (Ct. 8, 6-7)

Questa esperienza per cui l'altro -il tuo amato, la tua amata o anche Dio- è diventato quasi parte di te che è come se fosse scritto -scritto in modo incancellabile- nel tuo cuore, come se fosse scritto sulla tua pelle, per sempre.

Gesù parla di una dimora in lui e di un suo dimorare in noi. E così ci fa avvertiti che la fede -la fede in lui- non è semplicemente qualcosa di razionalistico, non è semplicemente fatto di testa, ma anche di cuore e chiede spazi, anche spazi di cuore, gli spazi della relazione.

Era bellissimo l'invito che apriva oggi la lettera di Pietro: "Carissimi, adorate il Signore Cristo, nei vostri cuori".

Oggi, qua e là, la si sente nell'aria questa accusa: "Voi preti ci avete insegnato ad adorare Dio nelle chiese, non ci avete insegnato ad adorare Dio nei nostri cuori".

Sì, nel silenzio del cuore. E sentire che lui, il Signore, la sua Parola, prende dimora in te.
E sentire che anche questa relazione con il Signore chiede tempo, ha bisogno di essere alimentata, come ogni altra vera relazione.

Certo le parole di Gesù - sulla dimora interiore - potrebbero essere fraintese in senso intimistico. Ma se le leggiamo nel loro contesto, ci accorgiamo che Gesù subito le colloca nell'orizzonte concretissimo dell'accogliere e osservare i suoi comandamenti, in primis il comandamento dell'amore fraterno.
"Chi accoglie i miei comandamenti" - dice Gesù - "e li osserva, questi mi ama".
Vedete: i comandamenti... devono diventare un fatto di cuore.

Mi colpiva ancora una volta il verbo osservare. Noi lo abbiamo appiattito nel senso di una osservanza esteriore. Ma osservare non significa anche guardare con attenzione, indugiare con lo sguardo, con la voglia di interpretare?

I comandi del Signore non come parole solo da eseguire, ma da osservare e scrutare.

 

 


 
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