la parola della domenica
Anno
liturgico B |
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At.10,25-27.34-35.44-48 Queste
parole, le parole di Gesù che oggi abbiamo ascoltato, sono per
la nostra gioia. E
già questo è bello pensare, pensare e ricordare: che la
gioia dell'uomo, la gioia della donna, la mia gioia, la tua gioia sia
in cima ai pensieri di Dio. E
il segreto della gioia, quella gioia piena che tutti noi andiamo inseguendo,
il segreto è, per Gesù, legato all'amore. "Se rimanete
nel mio amore....". E
mi colpisce questo verbo importante nel vangelo di Giovanni "rimanere",
voi mi capite, l'amore non come una cosa da conquistare, da raggiungere
chissà dove, chissà quando, chissà come. Parlavo
con un poeta, in questi giorni al telefono. Mi era sfuggita la parola
"ricerca di Dio". E lui a dirmi lo stupore che ti prende quando,
rovesciata la prospettiva, ti accorgi che lui, Dio, è venuto in
cerca di te. I suoi passi, più che i nostri passi, prima dei nostri
passi. L'importante allora è ascoltare i passi, l'importante è
vedere, importante è l'accorgerci. È una cosa, è una verità che spesso scordiamo -anche a livello ecclesiale-. Di qui tutta la nostra enfasi, prosopopea sull'andare a portare Dio, a portare l'amore. Salvo poi accorgerci -se ci rimangono occhi per vedere e orecchi e cuore per ascoltare- salvo poi accorgerci come Pietro, nel disincanto di Pietro, che lo Spirito ci ha preceduti: prima di dare il sacramento nelle case, lo Spirito l'aveva preceduto. I
passi dell'amore sono i passi di Dio, e sono prima dei nostri. "Come
io....". Fa
memoria di lui. Gli altri modelli più consumati non reggono. Fa
memoria nel tuo cuore di come lui, Gesù, ci ha amati. Solo
pochi accenni. Come lui vuol dire anche resuscitare la parola "amico": non vi chiamo più servi, perché il servo non sa che cosa fa il suo padrone, ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Amare come Gesù vuol dire allora non chiamare gli altri servi, non far vivere loro un rapporto di dipendenza, non trattarli come esecutori di ordini, ma risuscitare la parola "amico" che allude alla libertà dell'amicizia, alla fiducia reciproca, alla trasparenza che condivide il segreto. Ho detto risuscitare la parola "amico", perché in ambito ecclesiale -posso sbagliarmi- non mi sembra questa la parola predominante, predomina la figura del superiore, di chi dipende, c'è chi comanda e chi ubbidisce. Anzi suonerebbe quasi poco dignitoso usare la parola "amico". Eppure è la parola che Gesù ha usato. "Amatevi come io vi ho amato" vuol dire anche questo: chiamare l'altro amico e non più servo. |
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