la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella V Domenica di Quaresima
secondo il rito romano



 

 

Ez 37, 12-14
Sal 129
Rm 8, 8-11
Gv 11, 1-45

Questo segno di Gesù, il segno su Lazzaro, questo segno di resurrezione ha come contesto geografico un villaggio, Betania; poco fuori la casa di Marta e di Maria, casa-rifugio, un rifugio del cuore per il Maestro, per Gesù.

Ma il segno - lasciatemelo dire- è dentro un paesaggio del cuore, dentro l'atmosfera calda di un'amicizia, dentro legami che affiorano da tutto il racconto: "Il tuo amico è malato"; e ancora: "Gesù voleva molto bene a Marta e Maria"; "il nostro amico si è addormentato"; "Signore, se tu fossi stato qui"; "Gesù quando la vide piangere si commosse profondamente, e si turbò... e scoppiò in pianto...."; "Vedi come lo amava".

Il miracolo, il segno, dentro questo pulsare di sentimenti, di emozioni.

Ce n'è abbastanza -voi mi capite- per sbarazzarci di vecchi pregiudizi, di ben note educazioni, che facevano coincidere la virtù con l'assenza di sentimenti, di passione, di emozioni, e la fede in Dio con l'indifferenza verso gli uomini. Il risultato: larve impenetrabili di umanità, analfabeti dell'amore.

Il Gesù del racconto di Giovanni segna la distanza -distanza abissale- da queste deformazioni della fede, del cristianesimo.
Del racconto che abbiamo ascoltato io vorrei sottolineare semplicemente la bellezza del paradosso, di due paradossi.

Un primo paradosso che mi colpiva leggendo era la contemporaneità della fede e del pianto; pianto e fede in contemporanea.
Siamo noi che forti delle nostre sottigliezze teologiche, dei nostri schemi ascetici arriviamo a celebrare la fede di chi davanti al lutto non piange....

E invece fede e pianto nel racconto sono abbracciati insieme.

Piangono le sorelle dopo aver confessato la fede in Gesù, il loro Maestro, il loro amico. Piange Gesù, eppure sapeva che il Padre sempre l'ascolta.

Ma come potremmo noi permetterci di giudicare assenza di fede o minor fede un pianto dirotto, desolato? Siamo a tal punto censori da censurare anche il pianto?
Tu credi, eppure piangi. Tu piangi, eppure credi; pianto e fede sono insieme.

Il secondo paradosso che potremmo sottolineare è: l'oggi e il futuro sono insieme. Riascoltiamo le parole del vangelo: "Gesù le disse: "Tuo fratello risusciterà". Gli rispose Marta: "So che risusciterà nell'ultimo giorno". Gesù le disse: "Io sono la resurrezione e la vita"".

A Marta che usa il futuro -risorgerà- Gesù risponde usando il presente: "io sono -oggi sono- la resurrezione e la vita".
Il futuro della resurrezione e l'oggi della resurrezione vanno insieme, sono in contemporanea.

Anche a questo riguardo c'è qualcosa da rivedere; noi siamo soliti dire: "Cristo è risorto... anche noi risorgeremo". E diciamo una verità, una grande verità.
Ma lasciamo tra quel passato "è risorto" e quel futuro "risorgeremo" un iato, un vuoto, quello del presente. Resta orfano il presente, orfano di resurrezione.
"Io" - dice Gesù - "Io sono -al presente- la resurrezione e la vita".

Come a dire: non rimandare tutto al futuro. Sei tu, Marta, oggi, da resuscitare se ti rifugi nel futuro, se sei arresa dentro, se dici: "tanto non c'è più niente da fare....". Ebbene io oggi per te, dentro di te, sono resurrezione e vita.

Sei tu da sciogliere dentro, da tutto ciò che ti trattiene, dalle tue delusioni, dalle tue stanchezze. Oggi il vento nuovo della resurrezione e della vita investe il tuo viso e riaccende il tuo volto, rianima le tue forze, riaccende la tua voglia di vivere e di libertà.

Anche tu da sciogliere, anche tu da lasciar andare come Lazzaro tuo fratello: "scioglietelo e lasciatelo andare".

Non lasciare, non lasciare vuoto, vuoto del vento della risurrezione questo oggi, il nostro oggi, rimandando tutto al futuro.

L'oggi della resurrezione e il domani della resurrezione sono insieme, vanno insieme.
Non lasciare orfano di risurrezione il presente.

 

 


 
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