la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella V Domenica di Pasqua
secondo il rito romano



 

 

At 6,1-7
Sal 32
Pt 2,4-9
Gv 14,1-12

Non sempre le immagini del futuro sono rassicuranti, se non altro perché è possibile sempre l'imprevisto.

Ma Gesù vuole assicurare il cuore, il nostro cuore, spesso impaurito dal futuro: "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me". Dunque è una questione di fede.

Il futuro, è vero, si presenta come un'incognita. Ma che cosa c'è nel futuro più futuro?
È proprio questo "futuro più futuro" che può rassicurare il cuore.

E nel futuro più futuro c'è un luogo dove dimorare: "vado a prepararvi un posto".
E sempre c'è questa curiosità sul luogo, sulla dimora: "non sappiamo dove vai".

Il vangelo di Giovanni era iniziato con la domanda di quei primi discepoli a Gesù: "Dove abiti?". Erano le tre del pomeriggio e passarono il pomeriggio con lui.

Ma poi -non so se già da quel pomeriggio, ma sempre più nello scorrere dei giorni- capirono che quel loro Rabbi aveva anche un'altra dimora.

Perché sì, è importante dove abiti fisicamente, ma è anche importante dove abiti con il cuore. E non sempre le cose coincidono. Dove abitava col cuore quel loro maestro?

Certo Gesù in mezzo ai suoi era col cuore: "Il Verbo" -è scritto- "pose la sua dimora in mezzo a noi". E ci è stato con il cuore! Ma c'era -a volte i discepoli lo intuivano dai suoi occhi, dalle sue parole- c'era un "altrove": un dimora santa, quella santa dimora della cui nostalgia è pervasa la preghiera dei salmi. La preghiera dei salmi arriva là, alla santa dimora: chissà dove arriva la nostra preghiera: al futuro? anche al futuro più futuro? alla santa dimora?

La nostalgia dell'ultima dimora: abitare presso Dio! E tutta la sorpresa di questo abitare, che non sarà un abitare noioso, come tante definizioni e immagini ecclesiastiche sembrano accreditare.

Ma la cosa bella -la notizia buona- che ora i discepoli ascoltano con emozione da loro maestro è che non solo noi abbiamo nostalgia di Dio e della sua dimora, ma che Dio ha nostalgia di noi e ci vuole con sé nella sua dimora: un Dio che non sa immaginarsi senza di noi: "...ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io". E il "dove è Lui" diventa il "dove siamo noi".

Gesù dice anche che noi conosciamo la via: "E del luogo dove io vado, voi conoscete la via".
Conoscere la via è importante. Se no si va a tentativi, e non sempre si indovina. "Voi conoscete la via...". E aggiunge: "Io sono la via, la verità e la vita".

Ecco, il vangelo spesso ci abitua a questi scatti improvvisi, a questi rovesciamenti d'orizzonte.

I discepoli, seguendo le parole di Gesù, erano stati indotti a pensare a uno spostamento da luogo a luogo, ma ora capiscono -capiscono e non capiscono!- che Gesù si propone non solo come via, ma anche come meta, come dimora. Infatti dice: "Io sono la via, la verità e la vita".

Allora -voi mi capite- si tratta non di uno spostamento di luogo in luogo, non di uno spostamento esteriore.

Si tratta di entrare sempre più in lui o, se volte, perché è vero anche il contrario, di lasciarsi abitare sempre più da lui, perché lui è la verità e la vita.

E qui qualcuno di noi potrebbe provare quasi un senso di astrattezza: i soliti discorsi fumosi dei cristiani!

Perché al termine "verità" -io sono la verità- diamo le solite nostre categorie razionali. E così riduciamo Gesù a una definizione!

Forse meglio capiremmo se traducessimo: io sono lo svelamento... E lo svelamento in noi avviene poco a poco: io sono - dice Gesù - lo svelamento del volto del Padre e del volto dell'uomo.

"Io sono la via": e anche qui il discorso può sembrare astratto.

Ma vedete nel libro degli Atti che cosa significa lasciarsi abitare dalla vita di Gesù: significa accorgersi che se la vedova, cioè le parti deboli della società, sono trascurate nella comunità, lì non c'è vita di Dio.

"Io sono la via, la verità, la vita".

 

 


 
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