la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella 5ª Domenica del Tempo Ordinario
secondo il rito romano


 

 

Gb 7,1-4.6-7
Sal 14
1Cor 9,16-19.22-23
Mc 1,29-39

La pagina di Vangelo che oggi abbiamo ascoltato potrebbe forse avere come titolo: "Una giornata di Gesù".
E, ripercorrendo la giornata di Gesù, non mi interessava più di tanto indagare se la giornata - quella narrata da Marco - fosse una giornata reale o se Marco, con alcuni ricordi, avesse voluto ricostruire una giornata tipo di Gesù.
Provavo invece, rileggendola, - non so se è stato così anche per voi - un'emozione, come se mi sentissi riconciliato con le mie giornate: le "nostre" giornate, così piene, così affollate, una cosa dopo l'altra. Le nostre giornate piene e la giornata piena, senza tregua, affollata, di Gesù.

Mi emozionava -perdonate la parola- questa immersione di Gesù nella vita più reale della gente, in questi ritmi umani - un poco disumani -, immerso in tutti i luoghi: la sinagoga, la casa, la strada, la porta della città, il luogo deserto, chissà, un monte; immerso in tutte le ore: le ore del giorno, e poi il tramonto del sole, e il mattino quando ancora era buio.
Non sfuggiamo l'immersione, come Gesù non l'ha sfuggita! Era il segno della fedeltà all'uomo, all'umanità, alla storia.

E come è evidente, anche in questo racconto di Marco, la fatica -mi si passi la parola- la fatica di Gesù, uguale alla nostra, nel trovare in una vita così immersa spazi d'interiorità! Ed è affascinante anche vedere come Gesù si inventava, e dove li inventava, i momenti del silenzio e dell'interiorità: "S'alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava".
Quasi un invito per me, per tutti noi immersi, giustamente immersi, a inventare -ognuno si inventi i suoi- i luoghi e i momenti del silenzio, dell'ascolto, della preghiera.
Una condizione questa per non essere prosciugati nell'immersione, una condizione perché "l'essere immersi" non abbia come esito "l'essere sequestrati". Sequestrati nella visione - capite -. È un pericolo - o è stato anche per Gesù -: "Tutti ti cercano". Risposta: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là".
Immersi, ma non prosciugati; immersi, ma non sequestrati.

Sull'immersione di Gesù vorrei ancora aggiungere che -secondo il racconto di Marco- è un'immersione in modo particolare nell'umanità sofferente, dolente. Non in un'umanità plaudente, non è questo il bagno di folla che ricerca Gesù. Il suo anelito è altrove: è passare dentro le malattie, dentro i problemi senza fine dell'umanità.
Perché? Perché questa è la sua immersione preferita? Non so se interpreto bene. Ma a me sembra di capire che al problema del male, della sofferenza, al grido del dolore innocente, non ci sono risposte. E quindi non rispondere! Non rispondere con le parole al problema del male, della fatica di vivere, all'assurdo del dolore innocente.
La Bibbia ospita, senza censure, quello che i nostri libri ecclesiastici mai ospiterebbero. Ospita senza censure il grido di Giobbe, e oggi l'abbiamo ascoltato: "I miei giorni sono stati più veloci di una spola, sono finiti senza speranza".
Eppure Giobbe non cancella Dio: "Ricordati" -gli grida- "che un soffio è la mia vita".
Quasi un appello a Dio, davanti al quale una vita non ha bisogno di chissà quali requisiti per essere ricordata: basta un soffio di vita, per essere ricordata, per essere amata da Dio: "Ricordati che un soffio è la mia vita".

La risposta, al mal di vivere, non sta nelle dichiarazioni ecclesiastiche, il nodo non si scioglie con le parole: la risposta è la condivisione del male di vivere, la risposta è un Dio immerso, un Dio che sta accanto con infinita compassione; la risposta è un amore che condivide il male di vivere, la sofferenza degli umani.
Nel segno di Gesù sulla suocera febbricitante di Simone non ci sono parole. I verbi sono: "avvicinatosi, la fece alzare, prendendole la mano".
"Avvicinatosi": nessuna paura del contatto.
"La fece alzare": è il verbo della risurrezione, la risuscita.
"Prendendola per la mano", letteralmente "stringendo forte la mano": nessuna paura del corpo.

Penso che la chiesa abbia molto da imparare, che tutti noi abbiamo molto da imparare, noi che abbiamo teorizzato il distacco, il non mescolarci - Roma è sacra! -, noi che abbiamo seminato il sospetto sul corpo: lui tocca il corpo, e di una donna.
Che notizia buona - proprio una buona notizia! - che un libro del nostro Vescovo che abbia per titolo: "Sul corpo"!
Nel Vangelo è scritto: "Le strinse forte la mano". Forse un po' più forte di quanto ce la stringiamo noi allo scambio della pace.

 

 


 
stampa il testo
salva in  formato rtf
Segnala questa pagina ad un amico
scrivi il suo indirizzo e-mail:
 
         
     

 
torna alla home