la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella IV Domenica di Pasqua
secondo il rito romano



 

 

At 13,14.43-52
Sal 9
Ap 7,9.14b-17
Gv 10,27-30

"Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono". Tolte dal loro contesto, queste parole del Vangelo sembrano disegnare un quadro idilliaco, di una dolcezza infinita.

Non dico che non appartenga al brano anche questa nota di dolcezza, di tenerezza: pecore e pastore. Ma il contesto, se risalite a ritroso, anche di pochi versetti, è tutt'altro che idilliaco: Gesù è contestato, e proprio dentro il tempio, nel portico di Salomone. Contestato da quelli che pensano di detenere l'ortodossia della fede. A costoro uno così, uno che difende la libertà, uno che mangia con i peccatori, uno che rivendica i diritti dei poveri, uno che mette sotto accusa la presunzione dell'autorità religiosa, uno così non va bene. La gente doveva seguire loro. Loro erano l'incarnazione della voce di Dio.

E Gesù è polemico, smantella questa pretesa della gerarchia di essere la voce di Dio. Voce di Dio è lui. Fanno bene le pecore a non ascoltare le loro voci: "Le mie pecore ascoltano la mia voce" -non la vostra! -"e mi seguono".

Questo versetto del Vangelo, nella sua luminosa essenzialità ci definisce: chi sono i cristiani? Sono quelli che ascoltano la voce di Gesù e lo seguono.
Ebbene, vorrei sottolineare, ma brevemente -custodisce un'emozione- questo termine "voce": "…ascoltano la mia voce".

È un termine che dice relazione, intimità, prima ancora che le cose dette, la voce. L'emozione di essere riconosciuto dalla voce, al di là del filo del telefono: ti ho riconosciuto dalla voce. E dunque il desiderio della voce di Dio, l'attesa della voce di Dio. Forse qualcuno ricorda l'attesa della voce dell'amata nel Cantico dei Cantici: "Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso leggiadro". Seduzione di una voce. Ascoltare la voce.

Vedete, lungo i secoli abbiamo impallidito questa nostra identità che faceva di noi cristiani, come dei nostri padri ebrei, il popolo dell'ascolto. Nostra vera identità è il primato dato all'ascolto, non alle visioni: "Dio non l'ha mai visto nessuno".

"Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta". Questa la preghiera che il vecchio sacerdote Eli insegna a Samuele, che si sente chiamare, lui un ragazzo, da una voce nella notte: "Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta".

La prima cosa da insegnare, "ascoltare Dio", noi l'abbiamo sostituita con l'altra, "parlare a Dio".

AI bambini quando si tratta di pregare, insegniamo a parlare a Dio: "Ascolta, Dio che il tuo servo ti parla", e non: "Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta".

Ce lo ricordava il priore di Bose Enzo Bianchi nel suo intervento in questa Quaresima. Ci ricordava la priorità dell'ascolto: "Ascoltare il profondo del cuore, ascoltare il silenzio che ci abita, perché noi siamo abitati da una Parola, quella di Dio, che è più profonda del nostro stesso cuore".

E aggiungeva che in un mondo come il nostro diventa essenziale un'opera di discernimento tra le parole, le infinite parole che ascoltiamo nel corso di una giornata. C'è il rischio che la voce del Signore sia coperta da troppe voci, da troppi suoni, da troppi rumori. C'è il rischio che la Parola di Dio venga soffocata da un diluvio dilagante di parole di uomini.

Di qui l'invito anche a custodire la differenza, a vigilare sulla differenza tra la Parola di Dio e le altre parole. "Le altre parole, anche le più autentiche dette dalla chiesa, sono al servizio della Parola di Dio, non sono parola di Dio da chiunque vengano". Guai ad attenuare questa differenza che Gesù -come dicevamo- rivendica di fronte a coloro che presumono di essere la voce di Dio. "Uno solo è il vostro Maestro, il Cristo".

Il rischio dunque è quello di passare da una chiesa che "ascolta e segue", a una chiesa che "parla": "Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono".

"Se oggi" -diceva Enzo Bianchi- "c'è una patologia nella nostra vita, è la mancanza di ascolto. Parlare, parlano tutti, lo sapete benissimo. Ma il vero problema è trovare gente che ascolti. Anche nella chiesa, gente che parla la trovate dappertutto, ma trovare gente che ascolta… provate a cercarla".

Ci sono persone che hanno bisogno di essere ascoltate, perché solo se sono ascoltate possono sapere che ci sono e ci sono per qualcuno.
La prima maniera per dire a un altro -che sia Dio o un fratello- "tu ci sei per me", è mettersi ad ascoltarlo.

Amare è ascoltare. Ascoltare la voce, la voce di Dio, la voce dell'altro.

 

 


 
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