la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella IV Domenica di Pasqua
secondo il rito romano



 

 

At 2,14a. 36-41
Sal 22
1Pt 2,20b-25
Gv 10, 1-10

Una similitudine -quella che attraversa oggi il Vangelo- o un enigma? Sta di fatto che la similitudine diventa un enigma: infatti è scritto: "Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro". C'è la possibilità -e non è teorica- di non capire. Per esempio, non capiremmo il significato di queste parole di Gesù se oggi -giornata mondiale delle vocazioni- attribuissimo immediatamente -cioè senza mediazioni- ai preti, ai religiosi, ai consacrati l'immagine del pastore. Se c'è un brano in cui Gesù rivendica a se stesso con una assolutezza intensa l'immagine del pastore, è questo. Veniamo al brano: Gesù - a differenza di altri pseudo pastori - entra, nel recinto delle pecore, attraversa la porta. C'è un guardiano del recinto che custodisce le pecore e apre soltanto al pastore. Questo guardiano è Dio Padre. È lui che dà libero accesso a Gesù che passa attraverso la porta.

Gli esegeti fanno notare che qui l'evangelista Giovanni per dire "porta" non usa il termine pu,lh, che indica la porta grande della città, ma usa il termine qu,raj, che indica la porta piccola, la porta stretta, quasi a suggerire che Gesù la sua legittimità di pastore se l'è conquistata con la Pasqua, con la sua morte e risurrezione, la porta che si chiude e che si apre, la porta stretta. Questo fa la differenza tra lui e gli altri pseudopastori, abilissimi questi a mungere il gregge, a servirsene anziché a servire, a vivere alle spalle degli altri, anziché a vivere per gli altri: quelli della porta grande, grande per se stessi. Gesù... quello della porta piccola, ristretta, ci ha lasciato la vita nel passarla. E ci sono altri criteri, oltre la "porta stretta", che lo identificano come il vero pastore. Li accenniamo soltanto. "...chiama le pecore una per una e le conduce fuori... cammina innanzi a loro...". "Chiama le pecore una per una". L'essere pastore da parte di Cristo passa attraverso questa intimità del nome. Il pastore del Vangelo non è quello dei raduni oceanici, dove ognuno si scolorisce in una massa indistinta di volti -che tu ci sia o non ci sia, fa lo stesso- dove domina , assoluta, l'anonimità, l'estraneità. No, le pecore chiamate una per una. Così come il pastore è riconosciuto -anche questo è bellissimo- dalla sola voce: la riconoscono tra mille le pecore, tanta è l'intimità.

Voi mi capite, c'è questa intimità, c'è questo rapporto personalizzato, non è l'ufficio che conta, è la relazione...

Anche con Gesù: come con i fratelli e le sorelle. Il calore delle relazioni! Il gelo -il gelo della estraneità- può dire soltanto lontananza, lontananza dal Vangelo. "Chiama le pecore una per una e le conduce fuori": anche questo è un criterio che ci fa amare perdutamente il Signore Gesù: ci conduce fuori: fuori dei recinti, in spazi di autentica libertà.

Rimane il sospetto, più di un sospetto, su una certa prassi pastorale, dove il pastore abita il recinto, gode del recinto, raduna sempre dentro, dentro le strutture ecclesiali. "Entrerà e uscirà" -è scritto- "e troverà pascoli". Voi mi capite, è la rivoluzione di un certo modo di pensare, secondo il quale i pascoli, quelli buoni, sono solo dentro: "uscirà e troverà pascoli".
E ancora. "E quando ha condotto fuori le sue pecore, cammina innanzi a loro...".

Non è il pastore delle retrovie, dietro al gregge, quasi il suo carisma fosse prevalentemente quello di sorvegliare e di pungolare: il bastone per pungolare, per percuotere! No, Gesù, il Pastore del Vangelo è avanti, apre cammini, è capocordata. Il bastone del Pastore del Vangelo non è una minaccia alle spalle, tu lo vedi avanti, molto avanti, a segnare una via, a incoraggiare, a significare una presenza che rassicura.

Oggi -da alcune parti lo si avverte- c'è questo pericolo per la chiesa di dimenticare che essa stessa è gregge di Cristo e lui solo è il Pastore, essa stessa è ovile di Cristo e lui solo la Porta.

Quando succede questo, ingombriamo la strada a Cristo: "Una chiesa" -è stato scritto- "che si autocelebra o che pensa a se stessa come realtà compiuta... rischia sempre di produrre situazioni di eclissi del suo Signore" (E. Bianchi).

È in questo orizzonte -e non altro- che va posto anche il problema delle vocazioni di particolare consacrazione.

C'è ancora qualcuno -questo dovremmo chiederci- preoccupato di far vedere se stesso, qualcuno che coltivi la passione di far trasparire con la sua testimonianza un Altro, il vero Pastore e guardiano delle nostre anime?

 

 


 
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