la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella III Domenica di Pasqua
secondo il rito romano



 

 

At 2,14a.22-33
Sal 15
1 Pt 1,17-21
Lc 24,13-35

Il racconto del manifestazione di Gesù risorto ai discepoli di Emmaus è un racconto di rara bellezza, apre squarci di vera e intensa poesia. Probabilmente l'evangelista Luca ha lavorato su una tradizione più antica, trasfigurandola con la sua sensibilità e offrendo ai suoi lettori un itinerario, che solo in parte noi possiamo ora ripercorrere.

C'è una direzione innanzitutto: da Gerusalemme a Emmaus: da un luogo fisico a un altro luogo fisico: dalla città di Dio alla propria città, al proprio paese. Ma lo spostamento non è solo geografico: ascoltando il racconto, ti accorgi che si va da un sentimento di speranza a uno stato di delusione: "noi speravamo che fosse lui a liberare Israele".

Gerusalemme dunque come simbolo di una promessa tradita: avevano investito tanto, avevano investito tutto in quel "profeta potente in opere e in parole". È chiuso. Si ritorna a casa. A casa a riprendere la vita di prima.

Sembra di leggere la storia di tante nostre strade, anche di oggi, forse di sempre: hai sognato, hai investito tanto -le tue speranze!- hai lottato. È chiuso. Torniamo a casa; tiriamo i remi in barca. Disillusioni! E discorsi! Anche quei discepoli devono aver parlato molto, se Luca, nello spazio di poche righe, annota il molto parlare: "conversavano di tutto quello che era accaduto". E ancora: "mentre discorrevano e discutevano insieme...". E Gesù che dice loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?". Il verbo greco è più pregnante: il verbo "avntiba,llw" parla di parole gettate contro, rinfacciate, parole che rimbalzano contro gli altri. Vi dicevo del nostro tempo, tempo di disillusioni, ma anche di parole, di parole che non tendono ad approfondire, a scoprire un senso di ciò che è accaduto, di ciò che sta accadendo; sono parole gettate contro, rimbalzano, non scavano in profondità.

Mi chiedo quante delle nostre parole sono così: gettate contro! E a ragione Gesù potrebbe chiamare anche noi -come quei discepoli- stolti e tardi di cuore. Non sono due aggettivi gettati a caso: stolti "avno,htoi", e lenti "bradei/j" di cuore.

"Stolti" o meglio senza un pensiero, un pensiero profondo, che è quello di Cristo, senza un pensiero che va a scavare il senso di ciò che accade; e "lenti" di cuore: rimaniamo indietro su ciò che sta avvenendo.

La superficialità e la lentezza chiudono gli occhi: "i loro occhi" -sta scritto- "erano incapaci di riconoscerlo".

Per fortuna -dobbiamo dirlo- o meglio per grazia, Gesù, il risorto, "da sconosciuto" si affianca al nostro cammino.

E anche questo è un mistero che ci sorprende: quando non lo vediamo c'è -c'era lungo quella strada buia e desolata-. Quando lo riconosciamo e vorremmo trattenerlo, catturarlo nei nostri pensieri, nelle nostre definizioni, nelle nostre "stanze", scompare. riconobbero" -è scritto- "ma lui sparì dalla loro vista".

Ma allora ci chiediamo: quali sono i momenti della invisibilità di Cristo che corrispondono paradossalmente ai momenti della sua presenza in mezzo a noi? Luca risponde indicando innanzitutto il momento delle Sacre Scritture.

E magari, sul momento, lì per lì, non ti accorgi nemmeno. Sto pensando a un momento come questo che viviamo la domenica, quando insieme leggiamo le Scritture.

Sul momento non ti accorgi. Come quei discepoli, che, quando scomparve, si dissero l'un l'altro: "Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quanti ci spiegava le Scritture?".

Qui sta la differenza. Le parole di Cleopa e del suo compagno di viaggio erano parole che non concludevano, erano cronaca. Senza la Parola di Dio si fa cronaca. Con la Parola di Dio si compie un'operazione di saggezza, di senso: è come se sulle vicende della vita si proiettasse la sapienza della Croce: là dove sembrava massacrata la speranza è germogliata una cosa nuova.

A volte penso che per questo siamo qui la domenica: a ricostruire la nostra speranza.

A ricostruirla ascoltando il Signore Gesù che ci parla nelle Scritture e che spezza il pane con noi e, spezzandolo, ci invita a fare altrettanto: a essere, comunque, nonostante le smentite, un pane buono e spezzato.

Non più la fuga dalla città, dalle situazioni difficili della vita -fuga mentale, dico- che ci costringe poi a un modo di vivere schizofrenico, perché nella vita poi ci dobbiamo stare, con la testa via.

Si tratta non di cambiare la città. Si tratta di cambiare -e Dio ci aiuti- il cuore. Come era cambiato -dico il cuore- a quei lontani discepoli.

 

 


 
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