la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo, B
secondo il rito romano



 

 

Dn 7, 13-14
Sal 92,1-2.5
Ap 1, 5-8
Gv. 18, 33b-37

Forse c'era un desiderio di capire in Pilato. E forse per questo Gesù, che ha taciuto davanti alle autorità del Sinedrio, qui parla, a Pilato parla, quasi gli riconoscesse quel desiderio di capire. Di capire di che regno e di che re si tratti.

Qualcosa, infatti, non corrispondeva con quello che gli avevano detto di lui. A dire il vero, quell'uomo, Gesù, non aveva proprio l'aria di essere un gran re. Eppure così glielo avevano presentato: come uno che si fa re.

Ci affacciamo anche noi, con la domanda di Pilato, a una liturgia che ci presenta Gesù re dell'universo: "Dunque tu sei re?".

La domanda va fatta a Gesù. Le risposte degli uomini, le loro presentazioni della regalità di Cristo possono essere ambigue o addirittura fuorvianti, a volte menzognere.

"Dunque tu sei re?"

E la risposta: "Il mio regno non è di questo mondo, non è di qui". C'è da capire, perché se rimaniamo a questa risposta e non proseguiamo, cadiamo -o possiamo cadere- in una interpretazione scorretta per la quale il regno di Gesù si interessa non "di qui", ma solo dell'al di là, del cielo.

Ma allora perché preghiamo: "Venga il tuo regno, Signore"? Ma se è del cielo? Se non è di qui?

E Gesù lo spiega: non è di questo mondo, non è di qui, non perché non si interessa della terra, del mondo, ma perché è un regno che ha un'altra logica, tutt'altra, lontanissima anni luce, dalla logica dei regni terreni.

La logica dei regni terreni è combattere, perché un re non sia consegnato in mano ai nemici. "I miei servitori" - dice Gesù - "avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei", se il mio regno fosse sul modello dei vostri. "Ma il mio regno non è di qui".

Il mio regno non è di qui: gli esegeti fanno notare - l'accostamento è affascinante, è emozionante - che la paroletta "di qui" ("evnteu/qen" in greco) -non è di qui- la ritroveremo poco dopo nel Vangelo di Giovanni per raccontare che, con Gesù, crocifissero altri due, uno di qui e uno di qui ("evnteu/qen kai. evnteu/qen" la stessa parola) e Gesù in mezzo. E là, sulla croce, l'iscrizione "Gesù, il Nazareno, il re dei Giudei".

È folgorante l'accostamento.
Dove si combatte, dove si fa violenza, dove il criterio è essere vincenti, dove si abusa dell'altro, dove si fa strada la voracità del potere, del denaro, dell' "io"..., Gesù dice: non è di qui, non passa di qui il mio regno. E invece dice: "è di qui" sulla Croce, tra due malfattori. E dunque là dove le braccia sono spalancate, nell'atto del consegnarsi più totale - che cosa di più che consegnare la vita? - là dove l'altro conta più della tua vita, là dove ci si consegna agli altri, là dove ci si batte per la libertà dell'altro, per il rispetto dell'impronta di Dio nell'altro e nel creato, là si può dire: passa di qui il regno di Dio.

Voi mi avete capito, sono due logiche antitetiche; in presenza della seconda, tu puoi dire: qui c'è il Regno di Dio, in presenza dell'altra, sarebbe una bestemmia, una grave bestemmia, dirlo.

Sono passati i tempi in cui ci si illudeva che bastasse cantare a squarciagola: "Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat". Ma dove? Non ci sono zone protette. Dipende da che cosa inseguiamo.

Bisogna essere più onesti con se stessi. Dentro di me per il primo, dentro di noi, nella chiesa stessa ci possono essere territori sui quali non posso -sarebbe dissacrante- mettere l'iscrizione "regno di Dio".

Non metterla là dove si insegue il potere, l'immagine, l'interesse.

Mettila, senza paura, là dove ci sono le braccia allargate, perché là non si può equivocare. Là, dove hai le braccia allargate, metti l'iscrizione "regno di Dio".

Per il resto -ma non ci resta più il tempo per proseguire- la presentazione che di Gesù fa Pilato, poco dopo, alla folla: "Ecco l'uomo", sembra svelarci che questa, la sua, è la via per una vera umanità. E, infatti, chi è uomo, in questo avvicendarsi dei personaggi della Passione?

Sembra di assistere allo scatenamento della bestialità: l'umanità di Gesù a confronto con la bestialità, la disumanità, le grandi bestie di cui parla il libro di Daniele.

"Ecco il re", dice oggi la liturgia. "Ecco l'uomo", dice Pilato, per un'umanità sempre da ricostruire.

 

 


 
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