la parola della domenica
Anno
liturgico A 16 ottobre 2011 |
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Is
45,1.4-6 È una domanda trappola, è un inganno, è per coglierlo in fallo, ma Gesù, ancora una volta, sfugge elegantemente alla "malizia". "Conoscendo la loro malizia": è scritto dei suoi oppositori. E come sempre -e anche questo sarebbe da imparare- sfugge rilanciando una domanda. È uno stile che noi abbiamo un po' dimenticato: ribattiamo ai cosiddetti nostri oppositori con affermazioni e non con domande. Gesù ci ha insegnato questa che è un'arte, l'arte di porre domande. Con la domanda mette in movimento l'altro. La domanda degli oppositori era una domanda trabocchetto: "È lecito o no dare il tributo a Cesare?". Se è lecito sei un collaborazionista, se non è lecito sei un eversivo. E Gesù, com'è suo costume, si serve anche delle domande trabocchetto, anche di questa che ha come nodo la politica, per aprire, come sa fare lui, prospettive, orizzonti, di senso, linee di condotta per i suoi discepoli nelle realtà del mondo. Ci sono -dice Gesù- delle distinzioni da fare tra Dio e Cesare, non puoi metterli sullo stesso piano: dà a Cesare ciò che appartiene a Cesare, ma non di più. Non puoi dare a Cesare ciò che appartiene a Dio, quello tocca solo a Dio. Sarebbe distorcente, distorcente dell'insegnamento di Gesù, leggere nelle sue parole quasi una equiparazione tra Cesare e Dio. Non sta, non sta in nessun modo, l'equiparazione se a confronto metti il ciò che spetta a Cesare e il ciò che spetta a Dio. A Cesare spetta, se gli è dovuta, la moneta che porta la sua immagine. Spetta una cosa. A Dio tocca il tuo cuore, la tua mente, le tue forze: "Amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze". A Dio spetta la tua anima. A nessun Cesare, invece, a nessuna autorità sulla terra, fosse pure un'autorità religiosa, tu puoi vendere la tua anima. A nessuno: è di Dio. Certo
a Cesare, se è nella legittimità del suo potere -e la legittimità
del suo potere è il bene comune- devi dare ciò che gli è
dovuto. Dio può servirsi anche di uno che non lo conosce. Dio si servirà di Ciro, re di Persia, un "lontano" in termini di fede, per un'opera straordinaria di riedificazione di Gerusalemme e del suo tempio. E per ben due volte, nel nostro piccolo brano, è sottolineato il fatto che il re Ciro nemmeno lontanamente conosce Dio. "Per amore di Giacobbe mio servo e di Israele mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca ti renderò spedito nell'agire, anche se tu non mi conosci". Insegnamento dimenticato, pensavo. Infatti quante volte si qualifica come corretta una politica, per il semplice fatto che è promossa da cristiani, o non corretta per il semplice fatto che è promossa da non cristiani! E nel piccolo brano di Isaia, dove pure è in risalto il potere dato a Ciro, eletto di Dio, per ben due volte Dio rivendica la sua assolutezza: "Io sono il Signore e non ve n'è un altro Io sono il Signore e non ve n'è un altro". Una assolutezza -non sempre lo sottolineiamo, e la suggestione è bellissima- che fonda la nostra invalicabile dignità. Perché, voi l'avete intuito, Cesare può mettere la sua immagine sulle tue cose. Su te no. Perché tu sei fatto, secondo il Libro, a immagine e somiglianza di Dio. Uomo e donna, ogni uomo e ogni donna portano scolpita in sé, indelebilmente, questa immagine, che ci fa liberi, che ci fa ribelli e resistenti a ogni tentativo di sottomissione, che ci fa dire a chiunque: non ti appartengo. Perché appartengo a un Altro. E che l'immagine di Dio sia onorata in ogni uomo e in ogni donna, questo appartiene al sogno di Dio. |
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