la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella XXVII Domenica del Tempo ordinario
secondo il rito romano

2 ottobre 2011



 

 

Is 5, 1-7
sal 79
Fil 4, 6-9
Mt 21, 33-43

È un canto d'amore appassionato questo che nel libro di Isaia passa come il canto alla vigna.

"Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto?"
... vangata, sgombrata dai sassi... piantata di scelte viti, costruito una torre di difesa, scavato un torchio.

C'è una passione in questo canto d'amore. Così come c'è una passione nel padrone della vigna del Vangelo: manda i servi, e poi manda altri servi più numerosi dei primi, e poi... e poi manda il figlio... Che cosa poteva fare di più?

E l'immagine è trasparente: per questa vigna che è Israele, che siamo noi, che cosa Dio doveva fare di più?
E quando Dio dice queste parole sente dentro una passione, una passione che vibra, che lo fa fremere.

Come è bella -mi dicevo leggendo- questa immagine di Dio: un Dio appassionato! Non è un Dio asettico - la sovrumana indifferenza, l'impassibilità- ma un Dio innamorato della sua vigna, appassionato. Così appassionato che poi sembra di minacciare, farla finita, ma è perché vuole svegliare la vigna, vuole smuoverla: vuole svegliare noi, vuole smuovere noi.
Tant'è vero che anche quando minaccia, o sembra minacciare, gli sfugge quel possessivo "mio", che dice il persistere -nonostante tutto- di un legame, di un attaccamento, di un'alleanza, che non riesce a spezzare: "Ora voglio farvi conoscere" -dice- "che cosa sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo".

Che cosa sto per fare alla "mia vigna"...

Un commento rabbinico paragona il Signore al proprietario di una vigna che era solito dire, quando il vino era buono: "Quant'è buono il vino della mia vigna" e quando era cattivo: "Quanto è cattivo il vino del mio fattore". Il fattore gli rispose: "Il vino, sia esso buono o cattivo, è sempre tuo".

Come a dire che, virtuosi o peccatori, siamo sempre la vigna amata da Dio: "la mia vigna" -dice-. Così come Gesù sulla croce diceva "Dio mio, Dio mio...", anche quando gli sembrava di essere abbandonato da lui. Dio "mio"!
E allora, forse, più che le minacce presenti nel canto alla vigna e nel Vangelo, ciò che crea stupore e ha la forza di convertirci è questa passione di Dio per noi: passione in tutti i sensi, fino alla passione della Croce!

Per altro -a ben pensare- la rovina della vigna, che a volte sta sotto i nostri occhi, non è frutto di un Dio devastatore e saccheggiatore, ma di uomini devastatori e saccheggiatori: togliamo la siepe e la torre di difesa della Parola di Dio, del Vangelo, e poi ci ritroveremo con una povera vigna devastata. Potremmo dunque domandarci quali sono i sintomi della rovina, della rovina di una comunità, di una chiesa, di una società, e quali le cause che l'hanno indotta.

Quali i sintomi? Mi ha molto colpito che nel racconto di Isaia i segni della devastazione non siano visti da Dio nell'aver dimenticato il suo volto, ma nell'aver ferito il cuore e il volto dei fratelli. "Egli" -è scritto- "si aspettava giustizia, ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi".

Siamo in presenza di devastazione e di saccheggio quando viene meno la giustizia, la rettitudine, quando cresce la violenza e il grido dei poveri.

Ma da dove nasce questa devastazione, da dove questo saccheggio della vita, della società?

Mi sembrano allucinanti le parole dei vignaioli quando vedono arrivare il figlio del padrone. "Avranno rispetto" aveva detto il padrone: ebbene, non c'è più rispetto. Dicono i vignaioli: "Costui è l'erede, venite, uccidiamolo e avremo noi l'eredità".

Voi mi capite, "... se eliminiamo l'erede, i capi siamo noi, diventiamo noi capi".

Questa ubriacatura dell'essere capi! È questa ubriacatura dell'essere capi, e dell'essere stimati se e nella misura in cui si è capi e non per l'apporto che ognuno dà alla vigna, è questa ubriacatura che devasta la vigna.

Uccidiamo l'erede.

E avremo noi l'eredità. E cioè, i soldi sopra tutto, in cima ai pensieri. Mentre oggi la lettera ai Filippesi -in un passo che sembra il proclama di un umanesimo cristiano- diceva "che cosa in cima ai pensieri".

Riascoltiamolo: "In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri".

 

 


 
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