la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario B
secondo il rito romano



 

 

Nm 11, 25-29
Sal 53,3-6.8
Gc 5, 1-6
Mc 9, 38-43.45.47-48

Forse è difficile sfuggire, leggendo il brano dei Numeri e poi quello di Marco, a un sentimento -un primo sentimento- di tristezza.

Che cosa ne abbiamo fatto di questo invito ad allargare la visione, a non restringere la salvezza nei nostri confini, a scorgere segni fuori dell'accampamento?

Già la parola di Mosè era chiara -mille duecento anni prima di Cristo- chiara nello stigmatizzare lo zelo, fuori misura, fuori saggezza, di chi voleva far tacere Eldad e Medad, che profetizzavano nell'accampamento, proprio loro che non avevano partecipato alla convocazione liturgica nella Tenda del Convegno: erano rimasti fuori, fuori dalla convocazione, in un luogo profano, l'accampamento.

E Mosè: "Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore!"

L'insegnamento è chiaro: il dono dello Spirito non passa solo all'interno delle istituzioni, opera invece in modo inatteso, "anche nelle dimensioni più feriali, più quotidiane della vita" (P. Rota Scalabrini).

L'insegnamento è chiaro. Passano mille duecento anni. E siamo alle solite: "Abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato perché non era dei nostri."
Come a dire che siamo noi i proprietari, in esclusiva, dell'energia dello Spirito che può liberare il cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo.
L'esclusiva é nostra.

E Gesù: "Chi non è contro di noi è per noi... Non glielo proibite..."

Sono passati duemila anni. L'insegnamento era chiaro. Ma, siamo alle solite. Tant'è che a volte ti chiedi come possiamo leggere nelle chiese il vangelo, il vangelo che non circoscrive... e poi ricondurre tutto alla tenda, perché, se non sei stato nella tenda, se non sei uno della tenda, non puoi parlare a nome di Dio, non puoi consigliare, non puoi sostenere nessuno. Il monopolio è nostro.

C'è stridore tra quello che diciamo, scriviamo, e quello che ha detto e fatto Gesù.

Abbiamo sostituito la categoria dell'"appartenenza" a quella dello "Spirito" e così, per noi, è diventato costume chiederci a che cosa uno appartenga e non quale spirito lo muova. Come se decisiva fosse l'appartenenza.

Non lo è per il vangelo. Andate a ritroso a leggere il capitolo nono di Marco e incontrerete l'episodio dei discepoli di Gesù che, nonostante tutti i loro sforzi, non riescono a cacciare il demonio da un ragazzo preso dalle convulsioni. Ed erano rigorosamente discepoli, la piena appartenenza, e non succede niente.

Pochi versetti dopo, la non appartenenza: "Non sono dei nostri"! E succede, succede qualcosa.

Sono passati duemila anni e noi ragioniamo ancora per appartenenza. È ancora viva, persistente in mezzo a noi la categoria "i nostri": la usavano i discepoli duemila anni fa, la usiamo -come se Gesù non l'avesse sconfessata tranquillamente ancora noi oggi.

Scriveva Ignazio Silone: "Nella vita ho scoperto che prima della chiesa c'è Cristo, e prima del partito c'è la coscienza".

Il pericolo è dunque di impoverire Dio dentro la tenda, di impoverire Cristo.
A volte mi chiedo: non dovremmo essere entusiasti d'un Dio che opera, al di là delle tende, al di là del nostro accampamento, al di là dell'istituzione? Com'è meraviglioso questo Dio.
È questo che ci affascina.

Ve lo confesso, a volte mi prende una nostalgia profonda, una grande nostalgia degli occhi di Gesù, che scorgeva segni, segni positivi, segni del Regno: lui sì, vedeva! Al di là dell'appartenenza lo appassionava il fatto che qualcosa di vero e di prezioso accadesse... per un uomo, per una donna, per l'umanità.

Noi no. Abbiamo giornali con rubriche deputate unicamente a scovare germi di male nel campo dell'altro. E abbiamo per Maestro Gesù, uno che faceva esattamente il contrario.
Che respiro Gesù!

Alla domanda che è circolata anche in quei giorni - fuori dalla Chiesa c'è salvezza? - oggi, con il vangelo, Gesù risponderebbe: non solo, ma c'è anche la profezia, c'è l'energia invisibile dello Spirito.

Alzate gli occhi, allargate la visione, e guardate!

 

 


 
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