la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella 24ª Domenica del Tempo Ordinario B
secondo il rito romano



 

 

Is 50,5-9a
Sal 114,1-9
Gc 2,14-18
Mc 8,27-35

La Parola di Dio, che oggi abbiamo ascoltato, è molto esigente, ci scuote con la sua radicalità, inquieta le nostre coscienze.

Vedete come siamo distanti da una certa immagine di "cristiani della domenica". Un'ampia letteratura, anche ecclesiastica, li descrive come quelli che vanno in chiesa la domenica per mettersi in pace la coscienza. Pensate voi come possiamo mettere in pace la nostra coscienza dopo pagine come quelle che abbiamo ascoltato!

Parte da questa lettura una riflessione seria ed esigente sulla fede. Ci risuona ancora nel cuore la parola dell'apostolo Giacomo: "Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede".

La prima domanda sulla fede ci porta a chiederci se siamo rimasti, come Pietro, alla dichiarazione "Tu sei il Cristo". "Tu sei l'altissimo", abbiamo detto oggi. "Tu sei l'altissimo, Gesù Cristo".

Gesù, stranamente, sembra sospettoso di queste dichiarazioni. Impone il silenzio e chiama a un passaggio successivo: chiama a credere in un Messia, per nulla potente: dovrà molto soffrire, essere riprovato da coloro che contano religiosamente, culturalmente, economicamente, ucciso, risorgerà dopo tre giorni.

Ma Pietro -l'abbiamo sentito- ha in mente un altro modello, un modello vincente. E Gesù: "Va via da me, Satana". Pietro... Satana? Sì. Perché anche un Papa può essere satana, ognuno di noi può essere satana, se di Gesù e di conseguenza della chiesa abbiamo un modello vincente.

Quello di Gesù è un modello alternativo, alternativo ai criteri umani. "Noi cerchiamo di vincere con la forza, Dio vince attraverso la debolezza; noi cerchiamo di modificare la storia attraverso la violenza, Dio attraverso l'amore" (G. Borsato).

Dio non salva attraverso l'onnipotenza, ma attraverso l'impotenza: ha scelto le cose deboli per confondere le cose forti.

Credi tu questo? O siamo fermi come Pietro alla proclamazione che Gesù è Dio?

Posso sbagliarmi -e voi prenderete con beneficio d'inventario quanto sto dicendo- ma io ho come l'impressione che gran parte, forse la maggior parte, dell'educazione ecclesiastica alla fede sia preoccupata di portare a confessare che Gesù è il Figlio di Dio e si ferma lì, dove Gesù impone di tacere. Non va oltre. Non va oltre a dire qual è la logica sottesa alla vita di Gesù: il rifiuto del modello vincente, il rifiuto dei falsi ideali, il rifiuto della forza e della violenza, il dono di sé, che -voi lo sapete- non è solo una scelta futura per Gesù, quando morirà sulla croce. No, è la scelta costante di tutta la sua vita: il dono di sé. Credi tu questo? È qui, è su questa domanda che si gioca la fede.

Si gioca la fede e si gioca la vita, perché, riconosciuto che questo e non altro è il Signore, a questo modello siamo chiamati a conformare la nostra vita.

Se dicessimo: "Gesù è il Signore", e poi i modelli di vita fossero tutt'altro, a ragione l'apostolo Giacomo ci direbbe: "Se non ha le opere, la fede è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede".

Certo non tutte le opere dicono la fede, ma le opere che hanno dentro il lievito del Vangelo, la bellezza del Vangelo. In un altro passo Gesù dirà: "Vedano le vostre opere belle e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli".

E stranamente, paradossalmente, ma è il paradosso del Vangelo, c'è una sorprendente sintonia tra "opere belle" e "rinnegare se stessi".

Perché rinnegare se stessi non significa, come spesso si è fatto pensare, essere sbiaditi, incolori, insignificanti, ma significa non essere ripiegati su se stessi, sulle proprie cose, sui propri spazi, non occupare noi, con il nostro io delirante, tutto lo spazio. Significa non "occupare" ma "servire", servire con passione e gioia.

Un vescovo del Brasile raccontava che, quando si mise a studiare la lingua dei locali, si accorse che non esisteva nella loro lingua il verbo "possedere", un verbo ampiamente presente nella nostra; esisteva però il verbo "dare".

Quale lingua più vicina al Vangelo?

 

 


 
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