la parola della domenica
Anno
liturgico B |
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Pr
9, 1-6 "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda". Si
misero a discutere tra loro. Lo sconcerto era totale, tra la folla. Grande
era lo sconcerto. E forse non tanto per le eventuali allusioni di antropofagia
che potevano essere rintracciate in quelle parole, quanto invece per i
significati che le parole "carne" e "sangue" evocavano
alla mente e al cuore, alla mente e al cuore di un ebreo. "Ogni
carne è come l'erba Ma come? Tutto secca, tutto appassisce -ciò che appartiene all'uomo- e tu alla tua esistenza fragile, insidiata, attribuisci poteri di vita, di vita eterna? Ma no, tutto secca, tutto decade, tutto appassisce. L'altra parola che fa sconcerto è la parola "sangue": bere il sangue! Per un ebreo era proibito. Nel libro del Levitico si legge: "Ogni uomo, israelita o straniero, dimorante in mezzo a loro, che mangia un qualsiasi tipo di sangue, io volgerò la faccia e lo eliminerò dal suo popolo. Poiché la vita della carne è nel sangue" (Lv 17, 10-11). Il
sangue custodisce la vita: è intoccabile. Anche il sangue di Caino,
un fratricida. Tant'è che Dio lo segna sulla fronte perché
nessuno si creda autorizzato a colpirlo. Lo
ricorderai -sembra dirci la Bibbia- lo ricorderai anche quando sarai costretto
ad uccidere per nutrirti, ricorderai che ogni essere vivente appartiene
a Dio. Non
dico che lo dobbiamo ricordare, per vivere complessi di colpa, ogni volta
che mangiamo, ma per vivere la gratitudine. Non
vorrei fantasticare, tanto meno vorrei farneticare, ma ogni nostro banchetto
è, in qualche misura, sotto il segno della donazione. Non lo pensiamo:
qualcosa si consuma, qualcosa si consuma per darci la possibilità
di vivere, per darci vita. Stiamo smarrendo purtroppo -dico purtroppo perché è gravissima perdita- la simbolicità dei riti più comuni -come il mangiare-, che diventano volgari se sono all'insegna di un arido consumo. Il rito del mangiare, come il rito dell'amore, anche il rito religioso... se non vi leggi in filigrana una donazione, è arido consumo. Consumeremmo
l'Eucaristia, se ogni volta non ci stupisse fino a commuoverci l'atto
di donazione di Gesù, il Signore, il corpo dato per noi e per la
moltitudine. Se
il rito è vero, come nell'amore, nasce la dimora. "Maestro,
dove abiti?" gli chiediamo noi, duemila anni dopo, noi eredi di quei
lontani discepoli. "Venite e vedrete" e lo vediamo abitare.
Vediamo il Maestro abitare in questo gesto di sconfinata donazione. |
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