la parola della domenica

 

Anno liturgico A
omelia di don Angelo nella I Domenica di Quaresima
secondo il rito romano



 

 

Gn 2, 7-9; 3, 1-7
Sal 50
Rm 5,12-19
Mt 4, 1-11

"Fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo". Quaranta giorni e quaranta notti! una quaresima. Ebbene, ogni volta che leggiamo il brano delle tentazioni all'inizio della Quaresima, è come se andassimo a cercarvi una luce per i nostri quaranta giorni.
Ci rimane dentro, infatti, magari nell'angolino più sperduto del cuore, un desiderio di verità, di autenticità, di un ritorno all'essenziale; dopo tanto correre quotidiano, è come un chiedersi che cosa conta, che cosa sta prima e che cosa sta dopo, che cosa adorare e che cosa non adorare nella vita. I quarant'anni nel deserto sono rimasti nel cuore degli ebrei. Ne hanno fatto anche una festa, la festa della capanna. E ogni anno nei giorni di Sukkoth, tutti a costruire, accanto alla casa, una tenda e vivere nei giorni di Sukkoth nella tenda, quasi un ritorno all'essenziale, a una condizione di libertà: il deserto era stato un cammino -certo faticoso- ma intenso verso la libertà.

Gli ebrei sanno, ma anche noi sappiamo che nel procedere degli anni, diventando da nomadi sedentari, il rischio è quello di cedere ai condizionamenti, di cedere alla seduzione delle cose, del successo, del potere e ritrovarsi di nuovo schiavi di nuovi faraoni. Rivivere il deserto della quaresima, significa rivivere quelle tentazioni e quella fedeltà che hanno segnato i quarant'anni degli ebrei nel deserto, rivivere le tentazioni e la fedeltà che hanno segnato i quaranta giorni del Signore Gesù nel deserto, tentazioni e fedeltà che hanno segnato tutta la vita di Gesù, perché Matteo -voi lo intuite- costruisce l'episodio delle tentazioni come un midrash, come un racconto sapienziale. E in questo racconto tutti noi andiamo scoprendo che le tentazioni vere, quelle su cui misurarci, sono queste, le grandi tentazioni. grandi tentazioni" -scriveva Olivier Clément, bisogna confessarlo, non sono quelle di cui si preoccupa, e si ossessiona addirittura, un certo cristianesimo moralistico...".

Le grandi tentazioni -quelle del deserto degli ebrei e quelle del deserto di Gesù, quelle della vita di ciascuno di noi, quelle che vanno a demolire la fede, la fede nell'unico Dio e a sostituirlo con altro, sono queste. La tentazione di sostituirle con le cose: "Non di solo pane...". E cioè la tentazione di non distinguere tra bisogno -c'è bisogno di pane- e desiderio che va oltre il pane, oltre i bisogni. Non si vive di solo pane e cioè rispondiamo alla voce dei bisogni, ma riportando a quella -ecco la quaresima!- il desiderio e nutrendolo della Parola di Dio. L'altra tentazione , quella del pinnacolo: le soluzioni miracolistiche!: le hanno sognate gli ebrei nel deserto, ma poi Dio insegnò loro che non esistono scorciatoie miracolistiche, occorre camminare con i piedi per terra, pazientemente, fedelmente. Non la magia, ma la fede in Dio.

E ultima, la tentazione del potere. "Ti darò tutti i regni della terra". "Digiunare dalla volontà di potenza, di vanagloria, nel rispetto incondizionato dell'altro" (O.Clément). E' misurandoci su queste tre grandi tentazioni che noi verifichiamo se Dio per noi esiste o no, se gli altri per noi esistono o no. E' nella prova di queste tre grandi tentazioni che si rivela che cosa veramente abbiamo nel cuore. Si è fatto un grande parlare in questi ultimi mesi sul penultimo versetto del "Padre nostro": "Non ci indurre in tentazione".

Ma se leggiamo bene, non c'è una qualche rassomiglianza nell'inizio del Vangelo di oggi? "Fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo": lo Spirito che conduce nella tentazione, sì perché si sveli ciò che veramente hai nel tuo cuore. In un bellissimo commento al Pater noster su un giornale laico (Repubblica, 1 febbraio 96) Pietro Citati scriveva: "Non c'è alcuna ragione di scandalo. Come ogni ebreo e come ogni cristiano Matteo sapeva benissimo che Dio induce in tentazione, specialmente chi ama. Aveva tentato (o messo alla prova, se vogliamo usare un'espressione più scolorita) Adamo, Abramo, Giobbe, Israele; e una tremenda frase rabbinica diceva: "non c'è alcun uomo che Dio non abbia tentato".

Matteo aveva nella memoria alcuni passi dei Salmi, dove il fedele provoca Dio con una specie di passione eroica... Ora Matteo voleva evitare proprio questo eroismo della fede. Incerto, inquieto, cosciente della debolezza umana, timoroso della prova, persuaso della forza del male, egli voleva evitare il "tempo della tentazione...". Gli eroi della fede hanno accusato Matteo di non essere abbastanza eroico. Io lo credo saggio e mite come il suo Signore "dal giogo soave" e "dal peso leggero". Anche Cristo, nel Getsemani, aveva pregato: "Padre! A te tutto è possibile. Allontana da me questo calice". Matteo rivela il medesimo desiderio di allontanare da sé il calice della tentazione.

Ma subito dopo, come Cristo, dice con la mente al Padre: "Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi" ". Noi non siamo meglio di Matteo. Accettiamo la prova della tentazione che purifica la nostra fede, ma chiediamo anche di essere risparmiati da una tentazione superiore alle nostre povere forze.

 

 


 
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