la parola della domenica
Anno
liturgico C |
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Gen
18, 20-21. 23-32 E così, lungo la strada, dopo aver loro insegnato a provare tenerezza come il Samaritano, dopo aver loro insegnato a scegliere la parte buona che è: stare in ascolto, come Maria di Betania, quel giorno insegnò loro a pregare. E la domanda del discepolo era stata esplicita: "Signore, insegnaci a pregare ". Forse erano stati affascinati, conquistati da quel suo pregare, in silenzio. Forse il volto si era fatto luminoso come quello di Mosè nella montagna. E nessuno ardiva interromperlo. Ma
poi osarono: ogni "rabbi" aveva un suo insegnamento sulla preghiera;
anche Giovanni aveva insegnato ai suoi discepoli a pregare. Insegnalo a noi. A noi che oggi abbiamo -così si dice- troppe cose da fare. Narra
un'antica storia: Insegnaci, Signore, a pregare. E
Gesù aprì e chiuse il suo insegnamento sulla preghiera con
una parola carica di evocazione: "Padre", "Abbà",
la parola con cui tu chiami Dio. L'insegnamento di Gesù sulla preghiera evoca soprattutto un atteggiamento: un atteggiamento di serena fiducia, di confidente sicurezza. Evoca infatti un volto, quello del Padre. E un altro ancora, quello dell'amico alla cui porta puoi bussare di notte, a mezzanotte, quando la porta è chiusa e tutti dormono sull'unica stuoia, perché tu presti tre pani. Nella preghiera cristiana vivono queste due situazioni umane: da un lato il confessato bisogno, la dichiarata povertà, la confessata piccolezza e, insieme, la mai spenta, mai arresa, ostinata confidenza che ti fa parlare con Dio, e te lo fa chiamare "Padre". Sono i due atteggiamenti del cuore che abbiamo sorpreso anche nella affascinante preghiera di Abramo: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere". E
non potrebbe iniziare così ogni nostra preghiera: "
io
che sono polvere e cenere"? Ma il trattato rabbinico delle "Benedizioni" dice che essere curvato non esprime solo uno stato di prostrazione, ma anche un momento di incontro: "Preghiera" -dice- "di un uomo curvato: come un uomo che parla a un orecchio del suo compagno e questo l'ascolta. Vi è forse un Dio più vicino di questo, che è vicino alla sua creatura, quanto la bocca all'orecchio?". Ricordala, pur purificandola da ogni suo antropomorfismo, questa riflessione rabbinica: l'orecchio di Dio vicino al sussurro povero della bocca dell'uomo. E
da ultimo, ma solo accenno, perché ognuno di voi -ne sono certo-
già ne è rimasto affascinato. L'orecchio di Dio è
vicino alla preghiera dell'uomo se il suo cuore è simile a quello
di Abramo, solidale con la città dei peccatori, come quello di
Abramo. Se
di una cosa Dio ci rimprovera è che preghiamo solo per noi e per
i nostri, che pensiamo solo a noi stessi, che non resistiamo abbastanza
davanti al suo volto in favore degli altri. È questo il lamento di Dio. |
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