la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella 15ª Domenica del Tempo Ordinario B
secondo il rito romano



 

 

Am 7, 12-15
Ef 1, 3-14
Mc 6, 7-13

È folgorante l'inizio del brano di Marco che oggi abbiamo ascoltato.

"E chiamò a sé i dodici e cominciò a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti immondi". E non erano preti!

Lui percorreva i villaggi, Lui, Gesù -lo dice il versetto che precede-. E vuole che i suoi discepoli vadano.

Una chiesa che va. Noi abbiamo sostituito una chiesa che aspetta: l'idea che soggiace all'immagine di una chiesa "che aspetta" è che la gente rientri nei ranghi.
E Gesù -è bellissimo- lui che è stato per le strade e le case, più per le strade e per le case che negli spazi protetti del tempio, disegna per i discepoli la stessa avventura: andare per le strade e per le case.

Perché? Perché la strada e la casa sono immagini della vita concreta: entrate nelle situazioni concrete, entrate in situazione. Camminare con l'altro dunque, accompagnarsi. Sedere in casa, raccontarsi. Questo a tu per tu.

Oggi si fa un gran parlare di nuova evangelizzazione. "Si continuano a cercare" -scriveva in questi giorni un giornalista- "vie nuove di evangelizzazione: cattedre, pulpiti, dibattiti, conferenze, riviste. E si dimentica la maniera tipica e originale che Gesù ha proposto agli apostoli e che conserva tutta la sua efficacia: <Cominciò a mandarli a due a due..., entrati in una casa, rimanetevi fino a che ve ne andiate da quel luogo>" (Franco Peradotto).

Non è scritto che Gesù abbia dato loro il potere di parlare. Chissà, forse perché di parlare siamo tutti capaci, ma "dava loro potere sugli spiriti immondi".
Forse perché il segno, il segno vero, che il regno di Dio si era fatto vicino, non sarebbero state di certo le chiacchiere religiose, ma il volto, finalmente libero, delle donne e degli uomini, non più soffocati dentro, soffocati nella vita, ma liberati. Il dono di essere liberati.

È impressionante anche notare come in un brano che riguarda la missione, in questo manuale per gli itineranti -itineranti, non sedentari!-, non si faccia questione tanto di contenuti -che cosa dovete andare a dire-, ma si spendano invece molte parole sullo stile - lo stile di vita - degli itineranti: uno stile di sobrietà, di semplicità, di limpidezza, di vicinanza.
Anche a questo riguardo - lasciatemelo dire - è avvenuto un rovesciamento: oggi quando si parla di evangelizzazione il pensiero corre subito al "che cosa vado a dire", e meno, molto meno, a "come devo essere io", il mio stile di vita.

Lo stile -si dice- è un fatto secondario. E non è vero. O, almeno, non è vero per Gesù, È come se lui ci dicesse: come fai ad annunciare la novità con una vita vecchia? Come fai a dare una notizia buona con la tua aria impregnata di pessimismo? Come fai a dire che Dio è vicino, se tu tieni le distanze? Come fai a dire che la nostra fiducia è Dio, se vai in cerca degli appoggi umani? Come fai a dire che la nostra ricchezza è il Vangelo, se rincorri all'ossessione, incontentabilmente, i beni del mondo?

Tutta questa ricerca di mezzi con cui contare, come chiesa, se la osserviamo con gli occhi del Vangelo, viene a svelarci che crediamo poco, molto poco, che la nostra forza è in Dio. A parole, è in Dio!

Ebbene, questa rincorsa ha come effetto, secondo la Bibbia, ha come contraccolpo -ce lo ricorda la prima lettura- che il santuario di Dio diventa il santuario del re e il tempio il tempio del regime.

Il sacerdote Amasia è diventato purtroppo sacerdote del potere, nel tempio non è più permesso far risuonare la parola del profeta, risuona la parola del re: "Vattene" - dice ad Amos - "vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda..., ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re, è il tempio del suo regno".

Ecco che cosa succede, quando un'istituzione religiosa abbandona il suo stile di sobrietà - non due tuniche - e si compromette con i potenti della terra.

Succede che il santuario è tradito, tradito nel suo nome: Betel. "Betel" aveva chiamato quel luogo Giacobbe dopo il sogno della notte, il sogno di una scala che univa la terra al cielo e angeli salivano e scendevano. Giacobbe aveva chiamato quel luogo "porta del cielo, casa di Dio".

Ebbene, il luogo dell'apparizione è diventato santuario del re, tempio del regno.
Il Signore ci salvi da questo pericolo che la porta del cielo, la casa di Dio diventi santuario del re, tempio del regno.

 

 


 
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