la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella 10ª Domenica del Tempo Ordinario
secondo il rito romano



 

 

1 Re 17,17-24
Sal 29
Gal 1,11-19
Lc 7,11-17

Il passaggio del Rabbi di Nazaret non è chissà dove, è nei luoghi della storia, in luoghi che hanno un nome. Quel giorno fu a una porta, la porta di una città, la città di Nain: un corteo entrava, un altro usciva. Stava per entrare quello di Gesù, con i suoi discepoli e una grande folla che avanzava con loro. L'altro corteo era un corteo funebre, in direzione di un cimitero, anche lì molta gente: portavano alla tomba un ragazzo morto, unico figlio di una madre vedova. Stessa strada: un corteo di vita incrocia un corteo di morte.

Nulla è scritto della reazione del "corteo della vita", non è detto che qualcuno si sia messo a perorare per la donna. E' detto invece di Gesù. Che non passa con occhi lontani, passa e vede e gli occhi non gli rimangono asciutti: "Vedendola il Signore fu preso da grande compassione". Il verbo è quello che racconta una commozione che ti arriva sino alle viscere. Compassione per quella donna derubata di ciò che alla fin fine è ciò che veramente conta, le relazioni. Una strage di affetti! Destinata alla solitudine affettiva. Gesù si sente fremere sino alle viscere. Qui, nel Vangelo, la donna non parla, non invoca, piange, solamente piange. Gesù vede il pianto e "vedendola ne ebbe compassione".

E le disse: "Non piangere". Perché Gesù è l'uomo che contempla i volti, accarezza i volti, e si commuove. Per i singhiozzi e il pianto. Così un giorno anche poco fuori Betania davanti agli occhi umidi di pianto di una sua amica e dei convenuti: "vedendola piangere e vedendo piangere anche i giudei che erano venuti con lei si commosse profondamente, si turbò, scoppiò in pianto" (Gv 11, 34-35).

Ci capita a volte di chiederci dov'è Dio, dov'è Gesù quando il pianto degli umani sembra sfondare il nostro cuore. Non credo di essere lontano dal vero, se oso pensare che Gesù sia sulla strada e che pianga, pianga con noi.

"Si avvicinò e toccò la bara". Noi le portiamo, portiamo le nostre bare, spesso con infinita tenerezza. Ma le nostre mani non possono fare altro che toccare le bare e confessare la loro impotenza contro l'arroganza e lo strapotere della morte.

Le mani di Gesù rendono presenti sulla terra le mani del Dio della vita, cui, lui per il primo, osò consegnarsi nell'ora della croce, sapendo che erano mani di vita. "Nelle tue mani" - pregò quel giorno - "consegno il mio spirito". E sapeva che lo consegnava, lo affidava, alla vita.

Il vangelo annota che i portatori si fermarono, si ferma il corteo della morte: nelle mani di Gesù la forza di fermare il corso verso la morte, il corso verso la tomba. Se Gesù ci tocca, cambia il corso.

E disse Gesù: "Giovinetto, dico a te: alzati!". Al contrario di ciò che succede a noi - noi diciamo parole che non accadono - quando Dio dice parole, accadono e il fanciullo "si levò a sedere e cominciò a parlare".

Alzarsi è il verbo con cui si racconta la risurrezione. Quasi a dire che le mani di Gesù possiedono un contagio di risurrezione. E, quasi anticipo di risurrezione, di una risurrezione iniziata: "cominciò a parlare". La parola di Gesù è una parola che toglie dalla solitudine e avvia un contatto, un dialogo. Ci restituisce alla comunicazione, alla comunità, alla società, alla vita, che non è vita senza la possibilità di comunicare.

"Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: "Un grande profeta è sorto tra noi", e: "Dio ha visitato il suo popolo".

Era la visita di Dio, alla porta della città. Era come se alla porta della città fosse dato adempimento alla parola del libro della Sapienza: "Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi" (Sap 1, 12). Dio non è il Dio dei morti. Non è un Dio che toglie il respiro, ma colui che nei viventi ha insufflato il suo respiro, il suo alito di vita.

E noi siamo a sua immagine, a sua somiglianza, non quando togliamo il respiro, non quando soffochiamo gli altri o li intristiamo, ma quando ci fermiamo, ci commuoviamo diamo respiro, restituiamo libertà, ricreiamo fili di comunicazione.

 

 


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