la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nell'ultima Domenica dopo l'Epifania
secondo il rito ambrosiano


7 febbraio 2016



 

 

Sir 18,11-14
Sal 102
2Cor 2,5-11
Lc 19,1-10

Il messaggio della misericordia, della tenerezza di Dio, tema dominante del giubileo, attraversa anche le letture di questa ultima domenica prima della Quaresima. Sfioro nel commento il passaggio del libro del Siracide che, così come ci è stato proposto dalla liturgia, inizia in modo generico e apre un interrogativo: "Il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia".

Su "loro", chi?". Di chi sta parlando il libro? Sta parlando degli umani visti nella loro natura di precari, nella loro debolezza congenita, nella loro piccolezza: anche fossero cento gli anni, a fronte dell'eternità, non sarebbero che "una goccia d'acqua nel mare e un granello di sabbia". Pochi anni. Ed ecco si aggiunge: "Per questo" - notate "per questo - "il Signore è paziente verso di loro ed effonde su di loro la sua misericordia. Vede e sa che la loro sorte è penosa, perciò abbonda nel perdono".

Come a dire che la misericordia di Dio nasce da uno sguardo sulla condizione umana. Colta nella sua pochezza, nel suo limite, nella sua fragilità. Ma, a pensarci bene, non è forse proprio questo che è alluso nella parola "misericordia"? Che viene dal latino da "misereor", provare compassione per la miseria degli umani, per la loro pochezza e indegnità. Una compassione che, come allude la parola, arriva al cuore, prende le vie del cuore, non certo quelle - ammonisce la Scrittura - del cuore di pietra - questo ce lo toglie, il Signore - ma quelle del cuore di carne, che è il cuore che intende creare in noi il Signore.

Il passo del Siracide aggiunge una nota importante là dove afferma che, a fronte della misericordia di noi umani che spesso circoscriviamo la misericordia a chi ci è vicino, la misericordia di Dio è universale: "La misericordia dell'uomo riguarda il suo prossimo, la misericordia del Signore ogni essere vivente". Assomiglia, dice il Siracide, a quella del pastore, che rallenta il passo sulle pecore in difficoltà. Sei in difficoltà? Sei ferito? Sei stanco? Sei deluso di te stesso? Dio rallenta il passo per te. E' la sua misericordia.

E non è forse vero che Gesù, il volto della misericordia di Dio sulla terra, rallenta il passo per Zaccheo? Mentre la folla che accompagna Gesù, simbolo forse di tanti credenti manifestanti, procede imperterrita, anzi diventa barriera per il piccolo Zaccheo, Gesù rallenta, anzi si ferma, alza gli occhi, a lui. A lui che era salito su un sicomoro - è scritto - "per vedere chi era Gesù". Come vorrei - ve lo confesso - che mi rimanesse un grumo della curiosità buona di Zaccheo, che mi rimanesse anche dopo una imbarcata di anni come sono i miei, anche in vecchiaia.

La chiamo curiosità buona, perché certamente avete notato che Zaccheo non era in cerca dell'aspetto corporeo di Gesù, della sua identità esteriore, ma del suo mondo intimo, della sua identità interiore. Che tipo mai era? Quali le sue passioni? Chi veramente era? Avessimo noi la curiosità buona di Zaccheo.

E l'avessimo per Gesù, e venissimo qui la domenica per spiare tra i suoi pensieri, tra i suoi sogni, tra le sue passioni. E una curiosità buona l'avessimo anche per gli altri, noi che spesso non andiamo oltre gli aspetti superficiali, oltre qualifiche esteriori, incapaci di sondaggi dell'anima. Il tutto che diciamo è: "lontani, vicini; regolari, irregolari; credenti, non credenti". Ma la curiosità di andare oltre i nomi e di vedere che cosa si nasconde nel cuore di ciascuno, sembra costume raro in molti dei nostri territori ecclesiastici.

E magari ci accorgessimo di coloro che spiano il mistero della vita da un sicomoro e non dai luoghi connotati di appartenenze ecclesiastiche! E dove saranno oggi i sicomori che invocano, secondo la pagina del vangelo, un fermarsi e un guardare: "alzò lo sguardo" è scritto. Ora gli occhi stavano negli occhi. Ve li immaginate. L'incontro è da come ci si guarda. Non sempre lo teniamo presente: "alzò lo sguardo".

Gli occhi di Gesù erano un lago di tenerezza. Poi le parole - e chi se le sarebbe aspettate? - a cominciare dal suo nome, Zaccheo. E chi glielo aveva mai detto? "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Si fa invitare. A casa sua. E la casa di Zaccheo sembra quasi diventare nel racconto un elemento centrale. Quasi a dire che Gesù, se lo incontri veramente, ti riporta alla casa, là dove si vivono relazioni, ti porta nei luoghi della relazione, degli affetti, delle amicizie, delle nostre virtù e delle nostre fragilità, là dove gli "uomini dal giudizio facile" direbbero che non è conveniente.

Quella casa, quella di Zaccheo, non è così pura, né così degna, secondo i loro criteri: "Vedendo ciò" è scritto " tutti mormoravano: è entrato in casa di un peccatore". La tenerezza di Dio fa questo. A dispetto dei censori di ogni tempo. Guardate che le cose non sono poi tanto cambiate. Gli intransigenti, quelli dal giudizio facile, i censori, prolificano, anche oggi. Ebbene per ben quattro volte nel nostro piccolo brano, si parla di casa, della casa di Zaccheo. Non so se ha stupito anche voi l'invito di Gesù. Che nasconde una rivoluzione.

Saremmo tentati di pensare che l'invito di Dio sia ad andare nella sua casa, poi, leggendo il brano, ci accorgiamo invece che il suo invito è ad essere ospitato nella tua casa. E' la casa, la casa della vita, cui sei rimandato. Una casa concreta, non chissà quale. La tua, Zaccheo, casa di un capo di pubblicani, per di più ricco. Lì il Signore si invita. L'incontro con Gesù di Nazaret conduce lì. Deve essere salvata la casa o, se volete, questo mondo delle relazioni.

Ed è come se la tenerezza di Gesù, prima spiata dall'albero ed ora toccata da vicino nella casa, cambiasse l'aria, l'aria di casa. Che non è più un mondo chiuso, il mondo dell'appropriazione dei beni, ma un mondo di rapporti buoni, improntati a giustizia, a sguardi di attenzione agli altri: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni che possiedo ai poveri e se ho rubato a qualcuno restituisco quattro volte tanto"

E' cambiata l'immagine di casa. E notate: non glielo aveva imposto Gesù a Zaccheo. Noi imponiamo la penitenza a chi si confessa. Non una imposizione. A Zaccheo, vedendo Gesù nella sua casa, veniva spontaneo tutto questo: gli nascevano pensieri dal cuore, li seguiva! Niente imposizione - dovremmo ricordarcelo! - tutto nasceva dalla tenerezza.

E Gesù a dire, in faccia ai censori di tutti i tempi: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza!". Chissà come gli brillavano gli occhi! "Oggi per questa casa è venuta la salvezza"!

 

 


 
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