la parola della domenica
Anno
liturgico C
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Sir
44,23-45,1a 2-5 Storia della famiglia di Nazaret. Non so se è un caso, ma, se non vado errato, la Bibbia non dà spazio a tante teorizzazioni sulla famiglia, non indugia sulla famiglia in generale, ma su storie, storie di famiglie, e - dobbiamo ammetterlo - anche molto diverse: ognuna con la sua tipicità, quella di Nazaret certamente con una sua particolarissima tipicità, in un certo senso quindi non imitabile. E dunque dovremmo, per fedeltà alla Parola di Dio, far parlare le storie, le storie così come sono. Mi sono chiesto se non nasca forse di qui un invito ad essere attenti, sempre e comunque, alle biografie, non ce n'è una che sia calco di un'altra. Entriamo nelle storie. Anche in quelle bibliche per come suonano e non idealizzando. Oggi il vangelo di Matteo, della famiglia di Nazaret racconta i giorni del ritorno dall'Egitto. C'è stata una notte - e immagino non una sola - di fuga verso l'Egitto, su mandato di un angelo. A rischio era la vita del bambino. Ora c'è un ritorno. La narrazione è sobria e non lascia spazio a fantasticherie. Per alleggerire la drammaticità di un viaggio e di un esilio in terra straniera - voi lo sapete - i vangeli apocrifi, che danno ampio spazio al miracoloso, hanno dato stura a racconti di miracoli che accompagnarono il viaggio. Il vangelo non ne racconta uno. E dunque rimaniamo alla storia, al viaggio. Con tutto quello che di preoccupazione e fatica porta con sé un viaggio simile. A volte sono i poeti a raccontare, facendoci percepire sentimenti profondi. Al cuore mi è ritornata una poesia di Antonia Pozzi, dal titolo "Paesaggio siculo" che parla di questo viaggio. Eccola: Sul
greppo che di tenero verde
Ebbene il viaggio-fuga di Giuseppe e Maria con il loro bambino di che cosa è segno, che cosa può suggerire a questa o a quella famiglia, dentro la sua reale, e non supposta, biografia? Parla di sradicamenti, è una famiglia che vive sulla sua pelle il dramma che milioni e milioni di famiglie vivono oggi: prima un viaggio verso un'altra terra, poi il ritorno alla propria terra. Verso un'altra terra, perché c'è un agguato di morte. E Dio viene con un angelo nel sonno a comandare una fuga. Altra drammatica realtà sotto i nostri occhi, fughe da terre, perché l'alternativa nella propria terra è la morte. Morte di guerra o di fame o di libertà, ma sempre morte. E Dio non è per la morte. E io a chiedermi se nei sogni di tanti non ci sia il passaggio dell'angelo. E noi, se abbiamo occhi per la famiglia migrante di Nazaret, come non potremmo averne per le famiglie migranti di oggi? Sarebbe pura schizofrenia! Ogni volta che sosto su questo brano di fuga e ritorno dall'Egitto, mi viene spontaneo anche pensare come ogni indicazione di Dio - "Va' in Egitto... Va' nella terra di Israele" - chieda un prendersi cura. Che tocca la responsabilità di Giuseppe, diremmo dell'uomo: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre". Che cosa tocca alle nostre famiglie nel concreto. Ascoltare i sogni della notte, forse anche le preoccupazioni della notte, leggervi la Parola di Dio, una indicazione di orizzonte: l'Egitto, la terra di Israele. Ma poi - lasciatemi dire - il resto è affidato a te. La via di fuga la studi tu, Giuseppe. Ciò che devi portare lo prepari tu con Maria. Lo spaesamento lo provate in due, in due a cercare casa e lavoro - le due cose che si cercano oggi! - . Anche l'indicazione della terra in cui ritornare è fondamentalmente generica, ma Giuseppe è tutt'altro che l'uomo passivo in cui spesso lo incorniciamo. Viene a sapere di Archelao, decide di mettere casa in un'altra regione, va a Nazaret. Mi sembra - perdonate - di vedere nel racconto quasi un elogio di Giuseppe, della sua intelligenza e intraprendenza. E così dovrebbe essere. Nei testi sacri non sta scritto tutto. Come dovremmo tenerlo presente proprio in questi giorni in cui si parla di famiglie. Prendersi cura. Ma che cosa poi significa prendersi cura? Di questo ci si dovrebbe preoccupare, pensare, confrontarsi, capire, trovare soluzioni. E Giuseppe - lasciatemi dire anche questo, perché mi sembra messaggio per i nostri giorni - Giuseppe è un laico, non è né un prete né un mezzo prete. E' chiamato in causa lui, con la sua intelligenza, la sua visione della realtà, il suo coraggio di rischiare, rischia lui. "La nazione" ci ha ricordato papa Francesco a Firenze "non è un museo, ma è un'opera collettiva in permanente costruzione in cui sono da mettere in comune proprio le cose che differenziano, incluse le appartenenze politiche o religiose" E ancora: "La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità. Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia. Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà". Mi sembra indicato uno stile: è qualcosa di più di uno stile, è il nostro modo di essere fedeli al vangelo. Lo invochiamo dal Signore in questa eucaristia. E ce lo auguriamo, come credenti. |
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