la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella Domenica che precede il martirio di san Giovanni
secondo il rito ambrosiano


28 agosto 2016



 

 

2Mac 6,1-2.18-28
Sal 140
2Cor 4,17-5,10
Mt 18,1-10

"Chi è dunque più grande nel regno di Dio?". Perché la domanda? Tento di immaginare che cosa l'abbia provocata, pura immaginazione. Avevano appena avuto la visita degli esattori delle tasse che si erano rivolti a Pietro; e Gesù a sua volta aveva invitato Pietro a una pesca strana, nel pesce avrebbe trovato una moneta d'argento. Non sarà che gli undici cominciassero a sentire qualche problema per il ruolo che stava assumendo Pietro nel gruppo?

Sta il fatto che posero la domanda su chi fosse il più grande nel regno di Dio. Che poi del regno di Dio avessero qualche idea strana - come noi peraltro - è abbastanza facile intuirlo. "Allora chiamò un bambino, lo pose in mezzo a loro…"! Mi piace pensare che tra coloro che ascoltavano ci fossero dei bambini e lui, Gesù, li vedesse sgusciare con il loro viso sbarazzino di mezzo alle vesti lunghe delle donne. Ne vide uno, faceva per lui. Lo chiamò.

Ve lo immaginate! Sentirsi chiamato, proprio lui! Ed essere messo al centro! Era un ragazzino, il termine greco indica anche un "garzone", allora garzoni erano i ragazzini, gli uni e gli altri non contavano, non avevano peso, oggi ne hanno di più, allora ininfluenti. Ebbene quel giorno Gesù pensò di fare, diremmo, una predica non a parole - le parole spesso scivolano via, come l'acqua su una lastra di marmo - ma con un gesto. Che rimanesse. Che rimanesse negli occhi di quei discepoli e di quelli di tutti i tempi.

Non so se sbaglio, ma, il ragazzino posto al centro fu una icona dimenticata, anche dai nostri artisti. E passi per gli artisti! Una icona dimenticata, o, se volete, sottaciuta, nella nostra vita personale e nella vita della chiesa. Icona ricevuta e archiviata. Poi noi - e cominciò dall'in principio - abbiamo dato fiato alle gerarchie.

Ma qui Gesù rivoluziona le gerarchie: chi è il più grande? Se la domanda la ponessero a bruciapelo a noi oggi: chi è il più grande in mezzo a noi? Chi sono i grandi? A chi oggi noi diamo il nome di "grandi"? A chi va la nostra attenzione? A chi diamo importanza? Nel gesto di Gesù - voi mi capite - c'è un capovolgimento. Gesù sta inaugurando un regno, sta dando inizio a una comunità, che capovolge i criteri, una comunità per la quale importanti sono quelli che non contano.

Non quelli che si fanno servire, ma quelli che servono. "Se non diventate come i bambini non entrerete nel regno dei cieli". Voi mi avete capito, non è un invito ad essere "infantili", ma ad abbandonare quella presunzione così tipica di noi cosiddetti "maturi", la nostra pretesa di sapere, di imporre, una sorta di occupazione dei primi posti, il nostro anelito a farci servire. E ci sono molti modi di farci servire! E, invece, diventare come garzoni.

Pensate quante volte ci succede di rivolgere soprattutto ai ragazzi e ai giovani l'invito a diventare grandi: "Diventa grande!". Certo, ma come? Il nostro ideale di "grande" si concilia con questa provocazione incandescente di Gesù? Diventa grande, cioè diventa come i bambini. Ti auguro di diventare grande alla maniera del vangelo: che tu possa servire. Essere nella vita un servitore, onesto, appassionato!

E' vero che il regno di Dio non sarà mai completamente realizzato in mezzo a noi, su questa terra, ma è altrettanto vero che Gesù in questo capitolo del vangelo di Matteo sta delineando i tratti della nuova comunità cui sta dando origine e forma. Una comunità su cui dovremmo di tanto in tanto confrontarci. Una comunità in cui a contare non sono le gerarchie, non le precedenze, non i titoli, non i mezzi o le conoscenze, ma a contare sia l'accoglienza: l'accoglienza del ragazzino, cioè di colui che non conta.

Con la lucida consapevolezza che questo è oggi il modo di accogliere il Signore. Per me, per voi, per tutti noi, questo e non altro è il modo di accogliere il Signore: "E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me". A contare sia l'accoglienza. A questo patto la chiesa diventa - così il card. Martini la evocava - una "comunità alternativa".

Scriveva: "C'è un aspetto di profonda verità in coloro che riscoprono la chiesa come "comunità alternativa", a partire dall'esperienza della chiesa degli apostoli. Di fronte alla solitudine dell'uomo prigioniero dei propri idoli, la comunità dei discepoli che si vogliono bene annuncia il dono di una comunione nuova, possibile per la grazia di Dio. Come si può definire una "comunità alternativa"? È una rete di relazioni fondate sul vangelo, che si colloca in una società frammentata, dalle relazioni deboli, fiacche, prevalentemente funzionali, spesso conflittuali" .

Ebbene oggi Gesù con parole molto dure ci metteva in guardia da uno scandalo. Scandalo significa "inciampo". Se i piccoli della terra, se quelli che non contano agli occhi degli uomini, trovassero nella chiesa gli stessi criteri, e cioè l'attenzione ai forti, agli appoggi mondani, gli inchini alle alleanze vantaggiose, diventeremmo per loro scandalo, pietra di inciampo, inutili nel regno di Dio, degni di essere - come dice il vangelo - miseramente buttati.

E sto pensando ai giovani che con la loro richiesta di coerenza diventano per noi un esame esigente. Se nella chiesa ritrovassero gli stessi criteri di grandezza del mondo saremmo per loro pietra di inciampo. E lo dico riandando con la memoria alla storia - prima lettura - di Eleazaro, novant'anni, che non si piega a nessuno compromesso. E tra i motivi della sua resistenza sino al martirio, una cosa mi colpiva, in lui novantenne, il pensiero dei giovani, il desiderio - diceva - di lasciare ai giovani "un nobile esempio".

Sarà anche perché vado verso questa età, o sarà per la frequentazione che mi è rimasta dei giovani, ma mi tengo nel cuore questa convinzione: che a vincere la sfiducia delle nuove generazioni - come di quelle antiche peraltro - non bastino le parole di chi tra noi è adulto, o addirittura, come me, vecchio, ma occorra, come ai tempi di Eleazaro - è scritto - un "nobile esempio". Eleazaro anela a lasciare ai giovani "un nobile esempio". E' urgente se vogliamo contrastare e vincere la sfiducia delle nuove generazioni.

Dio ce lo conceda. E' troppo urgente.

 

 


 
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