la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella sesta Domenica dopo il martirio di San Giovanni
secondo il rito ambrosiano


9 ottobre 2016



 

 

1Re 17,6-16
Sal 4
Eb 13,1-8
Mt 10,40-42

Penso che voi tutti abbiate notato l'insistenza nel piccolo brano del vangelo di Matteo sul verbo accogliere: tre versetti, sei volte il verbo "accogliere". E' uno dei verbi che entra frequentemente, molto frequentemente, anche nei nostri discorsi in questi nostri anni, soprattutto riferito alla questione dei migranti. Gesù, che nei versetti precedenti ha parlato con molta chiarezza delle difficoltà e opposizioni che troveranno i suoi discepoli, ora parla in positivo, parla del dono che troveranno nel sentirsi accolti. Invita all'accoglienza. Invita all'accoglienza sino a sfiorare una sorta di identificazione.

Sembra quasi una risposta alla nostra domanda: dove oggi incontriamo Dio, dove e come oggi possiamo accogliere Dio, Dio che nessuno di noi vede o Gesù che non è più visibilmente in mezzo a noi? Bando alle fumoserie teologiche, lo accogli se accogli l'altro. Ecco l'identificazione: "Chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato". Dirà: "Chi ha dato da bere un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli…".

Non è forse vero che alla fine del vangelo di Matteo troveremo scritto che ad alcuni dirà: "Mi hai dato da bere"?. E questi chiederanno: "E quando mai se non ti abbiamo mai incontrato?". Risponderà: "Quando hai dato da bere a uno di questi piccoli l'hai fatto a me". Una Identificazione precisa, stringente, cui non possiamo sfuggire. Una ospitalità, direi, come dimensione del vivere, quell'ospitalità cui si fa cenno nella lettera agli Ebrei, ricordandoci i carcerati, ma ricordandoci anche che alcuni - e pensiamo ad Abramo - praticando l'ospitalità hanno avuto l'avventura di accogliere gli angeli.

Una accoglienza che è prima di tutto ospitare negli occhi. E non sempre ci pensiamo: io ospito negli occhi? Ho trovato scritto, sempre in quel piccolo libro di Christian Bobin, "Il Cristo dei papaveri", questo luminoso pensiero: "Quando ero invitato da qualche parte, io non entravo in una casa: entravo negli occhi delle persone. Non vedevo il resto". Entrare negli occhi delle persone! Vorrei ora indugiare con voi sulle parole di Gesù che esprime il suo pensiero sull'accoglienza con un'aggiunta: "chi accoglie un profeta perché è un profeta… chi accoglie un giusto perché è un giusto….".

So che la mia interpretazione è discutibile. Sembra quasi che Gesù inviti a onorare nell'altro la profezia, a onorare nell'altro la giustizia. E' onorata - vorrei dire - la persona. Quello che uno è. Noi, a volte, abbiamo ristretto l'orizzonte dell'accoglienza pensando che accogliere sia dare cose materiali, che pure sono importanti, molto importanti, ma dimenticando o sottovalutando che accogliere, in primis, significhi onorare la persona, il valore di quella persona, la ricchezza, a volte nascosta, di quella persona.

E allora vorrei dilatare la parola "profezia". Profeta puoi essere anche tu. Profeta, uno che mi parla a nome di Dio. E perché non guardare l'altro immaginando che lì, proprio lì risuona una parola di Dio per me, c'è qualcosa di Dio? E poi dilatare la parola "giustizia", che può avere senz'altro anche una connotazione religiosa, ma non solo, ha anche una connotazione umana, mi parla di coloro che si battono, qualunque sia la loro appartenenza, per la giustizia.

E vorrei dilatare anche la parola "piccoli" cui dare un bicchiere di acqua fresca: la parola qui è riferita ai discepoli, ma poi sarà dilatata da Gesù a chiunque, chiunque piccolo e proprio perché piccolo. I piccoli una categoria vasta, che include chiunque è in situazione di piccolezza, di fragilità, di disagio. I poveri o quelli deprivati di ogni dignità di cui parla spesso papa Francesco. "Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca…".

Splendida l'immagine che ci ricorda ancora una volta la piccolezza: che cos'è un bicchiere di acqua fresca? A noi ormai proiettati sulle cose grandi, su gesti di grande impatto, spesso sfugge il valore, - immensamente più grande di quanto pensiamo - dei gesti piccoli. Che ne sai tu che cosa può significare per l'altro un gesto piccolo, ma ricco di umanità? Un sorriso, una stretta di mano, un incoraggiamento, un modo di guardare, il tono della tua voce, e potremmo continuare. Anche il valore - diceva, il card. Martini - delle relazioni brevi, quelle che si si consumano nello spazio breve di qualche istante. Che cosa può a volte significare nella vita un incontro di pochi minuti, di un istante? Noi non sappiamo.

Non vorrei tralasciare un accenno alla ospitalità della vedova di Sarepta, prima lettura della Messa. Mi è capitato altre volte di dire, a commento del brano, che più che di Elia, che certo è un profeta, a me rimane nel cuore il ricordo di quella donna senza nome, una pagana secondo i nostri canoni. Anzi dirò che un po' mi indispettisce la pretesa di Elia. Qualcuno dirà che era un mettere alla prova i sentimenti della donna, ma è giusto? E comunque mi disturba: "Prendimi un po' d'acqua… prendimi anche un pezzo di pane… prima prepara una piccola focaccia per me e portamela!". Ci trovo tanto di un dominio maschile: prima vengo io!

Mi incanto invece all'ospitalità della donna verso lo straniero. Lei che arriva a quello cui noi così raramente e faticosamente arriviamo: a mettere l'altro prima di noi stessi. Non apparteneva al popolo di Dio: agli occhi degli appartenenti al popolo di Dio era una senza la fede dei padri. Al contrario è lei, proprio lei ad incarnare la vera fede: dà quel poco che le rimane, un pugno di farina nella giara, un po' d'olio nell'orcio, due pezzi di legno. Dà mentre tutto il contesto le direbbe di trattenere. Ma chi glielo fa fare? Per lei è sacra l'ospitalità.

Mi è venuto da immaginare che quel giorno Dio avrà pensato: "L'hai fatto a me". Poi un giorno glielo avrà anche detto. E noi ci teniamo davanti agli occhi e nel cuore, quasi come un'icona, il gesto di questa donna senza nome, la vedova di Sarepta. Un invito luminoso a una accoglienza che sia vera accoglienza, a un'ospitalità che sia vera ospitalità.

 

 


 
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