la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella sesta Domenica di Pasqua
secondo il rito ambrosiano


1° maggio 2016



 

 

Li guardava. Tra poco li avrebbe lasciati, era vicina la sua ora. Loro ancora non capivano, o, forse meglio, capivano e non capivano. Come succede a noi, che capiamo e non capiamo. Guardiamoci dal presumere di capire e guardiamoci da coloro che parlano come se capissero tutto, di Gesù, di Dio, degli uomini e delle cose, della vita.

Nella prima lettera ai Corinzi Paolo scrive: "Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto" (1Cor 13,12-13).

Adesso noi vediamo in modo confuso. E poi, notate la delicatezza di Gesù, le cose vanno dette con una gradualità: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso".

Dunque c'è un peso anche nelle cose che diciamo; e noi - confessiamolo - mai o quasi mai, prima di parlare, indugiamo a pensare se coloro, cui ci rivolgiamo, possono portarne il peso. Facciamo sproloqui, esigiamo adesioni immediate a tutto, non rispettiamo la gradualità: inondiamo di acquazzoni i piccoli germogli che ancora stanno timidamente affacciandosi dal terreno.

Gesù insegna, lui che tra l'altro vedeva con chiarezza. Non come noi, che vediamo come in uno specchio. Mentre li guarda, con l'emozione di chi lascia, lui desidera in qualche modo preparali all'ora in cui non sarà con loro, perché lui va al Padre. Dà indicazioni.

Sono indicazioni anche per noi, sono per il tempo - ed è il nostro - in cui Gesù non è fisicamente tra noi, è andato al Padre. Ritornerà un giorno. Ecco alcune indicazioni per i discepoli di tutti i tempi. Non resteranno senza una guida, loro che in lui avevano sperimentato "il pastore che guida il gregge".

Avranno una guida che non si dissocerà in nulla - dice Gesù - da lui, anzi porterà avanti, se così si può dire, il suo pensiero. E' lo Spirito Santo: "Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità… e vi annuncerà le cose future".

Voi mi capite, si passa da una guida esteriore a una guida interiore, da una guida visibile a una guida invisibile, da una voce che risuona agli orecchi a una voce che risuona nella coscienza. Pensando a questo passaggio dal fuori al dentro, mi sono sorpreso a pensare che noi forse siamo stati meno educati a indugiare in questo spazio sacro - dico sacro, perché abitato dallo Spirito - che è dentro di noi.

Ci è più facile udire i suggerimenti esteriori, meno ascoltare la voce dentro di noi, la voce della coscienza, dove è lo Spirito a parlare, a chiamare, a suggerire. Forse dovremmo aprire tutto un discorso sulla preziosità della luce della coscienza, della fedeltà alla coscienza, anche a prezzo di incomprensioni, di attacchi anche violenti.

In questo senso forse potremmo leggere il discorso che Paolo tiene alla folla dai gradini del tempio di Gerusalemme. Potrebbe essere più cauto con i Giudei, già è agli arresti! Ma Paolo è fedele alla voce che gli ha parlato sulla via di Damasco, a una voce che lo chiamava ad uscire dai confini rigidi del giudaismo, verso altri popoli.

Insopportabile una simile prospettiva per quei giudei che l'ascoltavano. Infatti - non so se avete notato - loro che ascoltano in silenzio attentamente Paolo, quando reagiscono duramente? Reagiscono quando Paolo rivendica l'universalità, una universalità che fa a pugni con le loro visioni identitarie ristrette.

Reagiscono quando Paolo arriva a dire che la voce sulla strada aveva lasciato a lui un comando: "Va', perché io ti manderò lontano, alle nazioni". Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzano la voce gridando: "Togli di mezzo costui, non deve più vivere!". Insopportabile.

Ma non è forse vero che ad alcuni di noi suonano insopportabili parole che oggi richiamano a una visione universale, fuori dai ghetti, dalle appartenenze asfittiche. Insopportabili: "Toglilo di mezzo costui"! Con la stessa arroganza, con lo stesso grido furente, con la stessa tracotanza.

Eppure sono le parole di Gesù. Le parole che lo Spirito santo va mormorando, per chi le ascolta, nell'intimo delle coscienze, parole portatrici di vera umanità. Vorrei ora indugiare su un'altra condizione che riguarda i tempi che stanno per accadere per i discepoli, i tempi dell'assenza visibile del Signore.

Gesù la svela ai discepoli di allora e di sempre. E' come una convinzione che li dovrà sostenere: che la sofferenza è per poco. Anche la sua passione e la sua morte, la sua sofferenza, sarà per poco. Così quella dei discepoli. E lascia loro un'immagine suggestiva, quella del parto: "la donna, quando partorisce, è nel dolore, perchè è venuta la sua ora, ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore, ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia".

Penso che a commentare l'immagine del parto non ci vorrebbe un prete, e forse nemmeno un uomo, ma una donna. Pensate come è bello che Gesù sia andato con il suo pensiero a questa esperienza così umana, lui, nella sua vita, sempre così capace di intravvedere il volto delle donne, il volto di una donna: volto sofferente, poche ore prima del parto e poi volto rilasciato e colmo di felicità dopo il parto.

Ebbene Gesù ci ha parlato del tempo presente come di un tempo del parto. Non ha negato che sia un tempo accompagnato da sofferenze, da doglie. Ma è, per Gesù, un tempo che custodisce in germe un futuro, un futuro di vita, già da questa vita, come il grembo di una donna già custodisce un cucciolo d'uomo che sta per sgusciare alla luce. E lo custodisce paradossalmente in quel suo grido di dolore.

C'è un futuro. Paradossalmente anche in quel grido di dolore c'è un futuro. E' un parto. E come vorrei che Gesù me lo ricordasse. Mi ricordasse che "parto" è abbracciato a "futuro". Come vorrei che lo Spirito me lo ricordasse. Mi ricordasse il futuro. Non è forse vero che secondo le parole di Gesù lo Spirito ci annuncerà le cose future?

Scrive Paolo nella lettera ai Romani: "Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo" (Rm 8,22-23).

Chissà se noi siamo capaci di curvarci - lasciate che li chiami così - sui parti dell'umanità. Accompagnandone i gemiti, ma anche sostenendo il futuro di cui sono colmi. Lì, e non in tanti luoghi celebrati osannati, nasce il futuro, il vero futuro del mondo.

 

 


 
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