la parola della domenica

 

Anno liturgico B
omelia di don Angelo nella quinta Domenica di Quaresima
secondo il rito ambrosiano


22 marzo 2015



 

 

Dt 6,4a.20-25
Sal 104
Ef 5,15-20
Gv 11,1-53

Amore e morte, intrecciati in questo emozionante racconto, colmo della tenerezza di Gesù e delle sue amiche. Io vorrei indugiare brevemente su questo nesso, amore e morte, con il desiderio in cuore - chissà se ci riuscirò - di non violare con troppe parole la tenerezza che scorre nel brano del vangelo e raccontare, se mi riesce, l'amicizia. Che è un po' come raccontare la poesia.

Sì, l'amicizia, una dimensione della vita - lasciatemi dire - un po' trascurata, che raramente trova spazio nelle nostre predicazioni, con un triste esito, questo: che lo scolorirsi dei sentimenti introduca nel campo della fede costruzioni teologiche asettiche e riti senza brividi di intenerimento. Leggendo di Gesù avverti come sia per lui cosa preziosa, cosa di cui non sa fare a meno, l'amicizia. Necessaria, oserei dire, come il pane, come il grano. Necessario il grano, ma anche il fiordaliso, scrive in una sua poesia Dietrich Bonhoeffer, pastore e teologo protestante, vittima dei campi di sterminio nazisti. Grano e fiordaliso. Scrive:

A fianco del campo di grano che dà nutrimento
che gli uomini rispettosamente coltivano e lavorano
cui il sudore del loro lavoro
e, se bisogna,
il sangue dei loro corpi sacrificano,
a fianco del campo del pane quotidiano
lasciano però gli uomini
fiorire il bel fiordaliso.
Nessuno lo ha piantato, nessuno lo ha innaffiato,
indifeso cresce in libertà
e con serena fiducia
che la vita
sotto il vasto cielo gli si lasci.

L'amicizia nota dominante nel brano del vangelo di questa domenica. Non è forse vero che l'evento della risurrezione di Lazzaro tiene uno spazio minimo, il minimo di pochi versetti, nel nostro racconto. Che per il resto - lo avete notato - è tutto percorso da passi - quanti passi! - passi di avvicinamento, passi spinti dalla tenerezza di un'amicizia. E, paradosso dei paradossi, i passi portano un amico alla vita e portano l'altro, Gesù, alla morte, amore e morte.

Le sorelle, Marta e Maria raggiungono Gesù, che è lontano, lo raggiungono con una implorazione implicita. Non c'è nemmeno bisogno di dire "vieni" e nemmeno, pensate, di dire il nome. Semplicemente così, il potere dell'amicizia: "Signore, ecco colui che tu ami è malato". E a commento, quasi insistendo, Giovanni aggiunge: "In realtà Gesù amava molto Marta e sua sorella e Lazzaro". Molto!

Non sappiamo perché Gesù sia rimasto ancora due giorni nel luogo dove fu raggiunto dalla notizia. Non si era mosso fisicamente, ma era stato - lo possiamo immaginare - tutto un muoversi di pensieri in lui, per due giorni. Dopo due giorni dice: "Andiamo di nuovo in Giudea". Tentano di dissuaderlo. Ma l'amicizia spinge, spinge a passi, ad andare. Anche se la Giudea non era di certo un luogo da mettere in conto, visto che i suoi oppositori lo stavano braccando e il cerchio ormai si stringeva. Ma sul conto dell'amicizia non c'è la parola "risparmio".

E' una legge dell'amicizia mettere tutto in conto, anche la vita. E sarà appunto quello che avverrà, quasi la conclusione dei passi alla tomba, del segno della risurrezione. Conclusione: i suoi oppositori fanno congregazione; loro convincimento è che uno così vada fermato, fermato per sempre, a morte, eliminato. Sono troppi i segni che compie, troppa la gente che crede in lui.

La conclusione? L'abbiamo sentita: "decisero di ucciderlo". Amore e morte. Se ti sporgi, se ti sporgi per l'altro, sei a rischio, a rischio di ferimento e anche di morte. C'è un modo sicuro, infallibile, per non essere feriti, feriti lungo la vita, ed è quello di non amare nessuno. Ma è già la morte. Lo dice Giovanni nella sua lettera: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte" (1 Giov 3,14). Già morto da questa vita. Non c'è risurrezione. E' nell'amore, è nell'amicizia la risurrezione.

E tutto il capitolo di Giovanni è un canto, un canto all'amore, all'amicizia. Struggenti le parole di Marta che non teme lo sfogo davanti all'amico, struggenti le parole di Maria che lo avviluppa ai piedi, gli si gettò ai piedi. Struggente l'emozione di Gesù che vedendo la sua amica piangere "si commosse - è scritto - profondamente e scoppiò in pianto".

Altro che gettare sospetti sull'amicizia, è il segreto della risurrezione. Qualcuno anni fa, un amico, con una felice espressione disse che l'amicizia è l'ottavo sacramento. Lo dovrebbero ricordare certi maestri dello spirito, dovremmo ricordarlo noi, a volte così rigidi, compassati, noi che confondiamo la spiritualità con l'essere anaffettivi, senza passione e senza sentimenti. Dovremmo ricordare Gesù. Lui, l'amico che ti porta fuori dalla casa della desolazione, ti fa guardare oltre, prolunga la visione, ti fa sognare la gloria di Dio, e gloria di Dio è l'uomo che vive: "Se credi, vedrai la gloria di Dio".

Lui l'amico che non si rassegna alle parole di morte, alle situazioni di morte, fa segni di vita, dice parole di vita: "Io sono la risurrezione e la vita". Lui, l'amico che non ti lega, ti sbenda: "Scioglietelo" dice Gesù " e lasciatelo andare", ti fa camminare, ti libera da tutto ciò che ti impaccia e ti lega. Lui, l'amico, che perché tu viva è pronto a mettere a repentaglio la sua vita: "Da quel giorno" è scritto "decisero di ucciderlo".

L'amicizia è il canto che accompagna dall'inizio alla fine il nostro racconto. Preghiamo che sia il canto che accompagni la nostra vita. Ottavo sacramento!

 

 


 
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