la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella quarta Domenica di Quaresima
secondo il rito ambrosiano


6 marzo 2016



 

 

Es 17,1-11
Sal 35
1Ts 5,1-11
Gv 9,1-38b

Domenica del cieco o, se volete, di Gesù, luce degli occhi di quel cieco, luce dei nostri occhi, luce del mondo. E forse per stupirci, ancora una volta, di lui - di Gesù, del figlio dell'Uomo - dobbiamo ripartire dalla nostra condizione di ciechi. "Lo Spirito del Signore" aveva detto nella sinagoga di Nazaret "è sopra di me e mi ha mandato… a proclamare la vista ai ciechi".

Ed eccolo, dà la vista ai ciechi. Lo Spirito è su di lui! Mandato a coloro che brancolano nel buio, a coloro che camminano come a tentoni. E siamo tutti noi. E notizia buona è che a lui sta a cuore che gli occhi si aprano. Si rifiuta ai discorsi di punizione, alle teologie colpevolizzanti. Che purtroppo ancora non hanno finito il loro corso, ancora danno legittimazioni, facendone una questione di peccati. Di punizione per peccati: "Chi ha peccato, lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?" E così, con teorie pseudo religiose, si va drammaticamente ad aggiungere pena a pena.

Ci sembra di vederlo il cieco, nessuna parvenza di luce, inghiottito come nel buio. Starei per dire senza speranza, senza speranza per i suoi occhi. Nemmeno una invocazione nel testo. Come se l'unica cosa che gli rimanesse nella vita fosse "mendicare". Per il resto, pilotato. Da fantasmi. Ebbene è Gesù che, cancellando sdegnosamente i sofismi religiosi, prende l'iniziativa.

E comincia con un gesto. Così si dovrebbe incominciare! E' un insegnamento prezioso, da ricordare: in presenza di una sofferenza non cominciare mai dalle parole, né tanto meno da disquisizioni teologiche, comincia con un gesto. Vorrei aggiungere con un gesto creatore. Il cieco al momento non ode parole, ode il soffio delle mani che gli accarezzano gli occhi, spalmandoglieli con fango di terra e saliva.

Perché ho parlato di un "gesto creatore"? E' come se accadesse di nuovo la creazione. Lo Spirito, il soffio di Dio è su Gesù. Ma non è forse scritto nel libro della Genesi, al racconto della creazione: "Il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente"? Soffio e fango. Ebbene le mani del Dio creatore sembrano ora prendere forma nelle mani di Gesù, che riplasmano il cieco. E' come se la creazione si rimettesse in moto, la creazione continua.

Vedete, a noi succede di pensare spesso alla creazione come a un atto concluso, concluso in se stesso, in pienezza dall'inizio. Mentre la natura è in evoluzione. Può anche succedere che uno nasca cieco. E il compito è di prolungare l'atto creatore, dando vita, dando luce agli occhi, ricreando condizioni di armonia. E' quello che fa Gesù: il prendersi cura. E' quello che, per la misura piccola che ci appartiene, tocca a noi.

Vorrei aggiungere che il racconto del vangelo di Giovanni ci affascina perché ci sembra di assistere di passo in passo nel racconto a una trasformazione del cieco, quasi diventasse una nuova creazione, una persona nuova. Nuova certo negli occhi, ma non solo; nuova altrettanto nello spirito, in umanità, in criticità, in intelligenza. L'intelligenza dei semplici. Che tiene testa ai sofismi degli uomini del tempio, rattrappiti in una sorta di sacra inquisizione.

E lui libero, addirittura ironico. L'esito, certo, è la cacciata dalla sinagoga. Cacciato, ma non arreso. Che capolavoro di umanità, una nuova creazione! E che bello pensare - lasciatemi dire - che all'origine di tutto c'è un gesto di Gesù. E c'è una sua parola. Una parola cui il cieco ha dato fiducia. Ha dato fiducia, anche se al momento poteva apparire strana: "Va' a lavarti nella piscina di Siloe".

E che cosa sarebbe accaduto se non fosse andato? E io a chiedermi se la cecità non ci rimanga impigliata alla carne proprio per questo: per il fatto che facciamo fatica a dare fiducia, A dare fiducia a parole come quelle, del vangelo. Lui è andato alla piscina. Si è lavato, ora ci vede. Ci è andato per fiducia. Ebbene il contrario della fiducia è la diffidenza. E la percezione che tanti di noi oggi provano sulla loro pelle è che vi sia nella nostra società una crescita, oserei dire esponenziale, di diffidenza.

E con la diffidenza erigiamo muri, prima interiori, nel nostro intimo, e poi esteriori, fuori di noi. Sono il segno tragico della diffidenza. La diffidenza - voi mi capite - ci rende ciechi, ciechi e sordi. L'altro - e non dico solo lo straniero, questo è l'emblema più evidente - l'altro, non lo vediamo per quello che è, non perdiamo tempo per l'altro, non perdiamo tempo a guardarlo, lo sfuggiamo, ci portiamo cataratte e cataratte di cecità. Ci portiamo il pregiudizio.

E' quello che succede nel tempio, nella requisitoria di cui è fatto oggetto il cieco, dove si usano tutti gli stratagemmi per stravolgere sia le Scritture sacre che la realtà, dove a decidere non è la vita, ma sono i prontuari: "ma quello non è il mendicante?", "ma uno che opera di sabato è un peccatore!", "ma tu sei nato tutto nei peccati!". Il pregiudizio e la diffidenza - succede ancora oggi - chiudono gli occhi, e l'esito, ancora oggi - è sotto li occhi di tutti - è il dileggio, è l'urlo, è l'insulto.

Apre, la fiducia; apre, la tenerezza. Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò gli disse: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?". "E chi è Signore, perché io creda in lui?" Gli disse Gesù: "Lo hai visto: è colui che parla con te". E' bellissimo: è come se gli occhi del cieco ora vedessero oltre, vedono il Figlio dell'uomo, colui che si prende a cuore dell'umanità, in particolar modo dell'umanità dolente, il Figlio dell'uomo. E soggiunge: "E' colui che parla con te".

Forse ricordate che anche alla donna samaritana Gesù disse: "Sono io che parlo con te". Perdonate l'esegesi forse forzata: mi chiedo, dentro una storia di accecamenti, non sarà che il vero miracolo sia parlarsi? Sino al parlare di Dio con noi? Parlarsi - ma qui si aprirebbe un discorso e lo chiudo - parlarsi ha come esito che si aprono gli occhi, perché, a ben vedere, ad aprirci gli occhi è l'amore, il volersi bene.

E dunque vedere. E parlarsi!

 

 


 
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