la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella tredicesima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


14 agosto 2016



 

 

Ne 1,1-4; 2,1-8
Sal 83
Rm 15,25-33
Mt 21,10-16

Può sembrare strano che questo episodio del vangelo sia puntualmente raccontato da tutti i quattro gli evangelisti. Anche per questo ai nostri occhi assume una importanza particolare. Potremmo forse dire che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Prima quel suo ingresso tra folla festante in Gerusalemme. Poi quei gesti scandalosi nel tempio: scacciare quelli che vendevano e compravano, rovesciare i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe.

Ma chi credeva di essere? Che diritto aveva lui di compiere gesti simili? Andava fermato! Ma chi erano i veri dissacratori del tempio? Che cosa avevano visto gli occhi di Gesù perché fossero colmi di uno sdegno a dir poco fuori misura. Qualcuno di noi lo avrebbe consigliato di essere più prudente! Che cosa avevano visto i suoi occhi per accenderli di tanta indignazione?

Lo disse, citando parole di profeti, di Isaia e Geremia. Disse che proprio loro, che si ritenevano i detentori del tempio, avevano alla radice sconsacrato la vera essenza del tempio: ridotta da una casa di preghiera - e Isaia aggiunge "per tutti i popoli"! - a un covo di ladri. Ogni vero israelita tra quelle mura avrebbe dovuto trovare uno spazio del sacro, un luogo di silenzio e di preghiera. C'era pure uno spazio riservato ai pagani per una loro sosta silenziosa. Bellissima questa attenzione a uno spazio di culto anche per coloro che erano diversamente credenti!

E che cosa vi trova Gesù? Un covo di ladri. Noi diremmo un grande mercato. Il grande mercato ha invaso tutto, ha mandato in esilio ogni traccia di Dio, di vera umanità. Ebbene immagino che voi tutti abbiate trovato consonanze con i nostri tempi, dove tutto sembra subire invasione dal mercato, dal grande mercato, dallo strapotere della finanza. Quasi fosse una nuova religione, che ha soppiantato la vera religione, una nuova religione con i suoi codici indiscutibili, inconfutabili, inoppugnabili. Domina il mercato, il grande mercato. Che non è né casa di Dio né casa degli uomini. Anzi diremmo distruzione della casa di Dio e della casa degli uomini.

Mi ha molto colpito nel racconto un particolare, questo: che Gesù, per dire che cosa è il tempio, usi una immagine del profeta Isaia, quella della "casa", "casa di preghiera". Quasi a dire - forse eccedo nell'interpretazione - che il tempio - e quindi anche le nostre chiese - il tempio ha a che fare con la casa, vi si dovrebbe respirare il clima di una casa. E non è forse vero che un clima di casa al tempio l'ha come legato, stretto stretto, Gesù invitandoci a chiamare Dio con il nome di "Padre".

Il tempio, la chiesa, non è dunque il luogo delle prestazioni, non è il luogo in cui comprare Dio, è il luogo della relazione! Tu entri e ti viene detto: "qui c'è un padre che ha un pensiero per te". Non c'è mercato della religione. C'è l'intrecciarsi degli sguardi di chi ama e si sente amato. Questo è. Ed è spesso nel silenzio delle parole. Quanto rumore al contrario in quel tempio. Ma non solo in quel tempio! In un suo piccolo libro , "Il Cristo dei papaveri", Christian Bobin scrive: "Il tuo cuore brucia dentro il tuo silenzio come una candela dentro una lanterna".

Ma ora inseguendo l'immagine del tempio-casa vorrei aprire un'altra riflessione: il tempio, aria di casa, perché casa di Dio - e Dio è padre - ma anche aria di casa perché casa di sorelle e fratelli e non ti senti né escluso né in soggezione. Ed è ciò che purtroppo avveniva in quella circostanza nel tempio di Gerusalemme, con quei rappresentanti della religione: "passeggiano" dice il vangelo "in lunghe vesti e si compiacciono di avere i primi posti nelle sinagoghe" (Lc 20,45-47).

Il tempio non è più una casa, è uno spettacolo, mercato e spettacolo. E Gesù scaccia quelli che pensano di esserne i padroni e accoglie quelli che ne erano esclusi, quelli che non avevano diritto di entrata, i ciechi e gli storpi per esempio. Abbiamo letto: "Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi ed egli li guarì". Forse - mi sono detto - forse glielo avevano letto negli occhi che potevano seguirlo nel tempio, proprio là dove per loro vigeva divieto di accesso! Ed egli li guarì.

Trionfa l'aria di casa, in casa non ci sono esclusioni, nemmeno nella casa di Dio. Che, anzi, se uno è debole o sofferente le cure sono in modo particolare per lui! Ecco dove vanno gli occhi e dove va il cuore. Vanno alla fraternità In questo orizzonte, l'orizzonte della fraternità, sono suggestive le prime letture di questa liturgia.

La prima parla di Neemia. Mi ha commosso! lui in esilio, alla corte del re Artaserse, è come se non riuscisse a togliersi dagli occhi e dal cuore, la sua città Gerusalemme, gli scampati che sono in grande miseria e desolazione, le mura devastate, le porte consumate dal fuoco. Sente che deve fare qualcosa per la ricostruzione della sua città. Come fosse diventato per lui un pensiero fisso. Deve fare qualcosa! Ho pensato: se fossimo anche noi come Neemia, con il pensiero fisso a tante, troppe, devastazioni e con la sua determinazione a voler fare qualcosa!

Potremmo allora dire che l'aria di casa, di fraternità che abbiamo qui respirato nella chiesa, ci è rimasta impigliata nel cuore e nella vita. In questo orizzonte si muove anche Paolo che, andando di comunità in comunità, si preoccupa di fare una colletta per la chiesa di Gerusalemme, una chiesa molto povera, piena di problemi. Ritornerà a Gerusalemme portando a sorelle e fratelli quanto le altre comunità hanno donato. Voi mi capite, ancora l'orizzonte della fraternità! Paolo ne scrive ai credenti che abitano in Roma. Una cosa, tra le altre, mi ha colpito nelle parole di Paolo: come lui chiama questa colletta di fondi per la chiesa di Gerusalemme. La chiama "servizio sacro".

Voi mi capite, come se fosse una liturgia. Questa preoccupazione per gli altri è una vera cosa sacra, un servizio sacro, diremmo: una liturgia. Mettiamo tutto questo a confronto con quello che sta succedendo nei nostri giorni. Anche con i discorsi che stiamo ascoltando in questi giorni. E come non augurarci che a noi, che celebriamo l'eucaristia, rimanga impigliata l'aria di casa, quella della fraternità?

Sempre e comunque.

 

 


 
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