la parola della domenica

 

Anno liturgico C
omelia di don Angelo nella dodicesima Domenica dopo Pentecoste
secondo il rito ambrosiano


7 agosto 2016



 

 

2Re 25,1-17
Sal 77
Rm 2,1-10
Mt 23,37-24,2

Mi verrebbe spontaneo chiedervi quali sentimenti abbiano attraversato il vostro cuore ascoltando la pagina del secondo libro dei Re, che ci riportava all'anno 587 a.C. con il racconto della distruzione di Gerusalemme ad opera dei Caldei. Penso che vi abbia preso un sentimento di sgomento: l'assedio, l'irruzione, l'inseguimento, il massacro, la barbarie, la deportazione, lo scempio operato nel tempio. In una parola la devastazione. E lo sguardo triste di chi racconta.

E passa in rassegna la città, come se nessuno e niente fosse stato risparmiato. Non dobbiamo certo generalizzare ma è un fatto che a volte ci verrebbe spontaneo usare la stessa parola oggi - come sensazione prevalente - la parola "devastazione", che va dalla devastazione di cose materiali, alla devastazione di uomini e donne - donne soprattutto, i femminicidi! -, alla devastazione dei valori che consentono una convivenza umana serena. Devastazione.

E la domanda: "Che cosa e chi ci potrà salvare? Chi ci salverà?". Qualcuno direbbe: "La religione, un ritorno alla religione". Ecco, vorrei sostare con voi su questa risposta, ricollegandomi al vangelo. Abbiamo ascoltato parole di Gesù che svelano l'alternarsi nel suo cuore di sentimenti così intensi e anche così diversi, dentro immagini colme di tenerezza - la chioccia che raduna i pulcini - ma anche così colme di preoccupazione - il tempio di cui non resterà pietra su pietra -. Ci salverà la religione? Ebbene mi si fa avanti nel pensiero un'altra domanda: "Ma quale religione?".

C' è una religiosità contro la quale Gesù ha avuto parole implacabili. Potremmo dire: una religione che non salva, che non fa il bene dell'umanità, anzi disumanizza. Non dobbiamo dimenticare che le parole che oggi abbiamo ascoltato appartengono a uno dei capitoli più roventi del vangelo di Matteo, in cui si susseguono a ritmo stringente sette "Guai a voi", rivolti alle autorità religiose del tempo. Un settenario di "guai a voi!".

Un duro attacco di Gesù all'ipocrisia religiosa, alle guide religiose che si comportano da padroni del regno di Dio, come se l'avessero tra le mani, guide cieche che usano la religione per esibire se stesse, per trarre vantaggi personali, una religiosità che esclude dalla salvezza intere categorie di persone, una religiosità di facciata, fatta di parole, una religiosità che in pratica uccide la profezia, cioè mette al bando chi veramente parla a nome di Dio. Stanno mettendo al bando lui, sono pronti ad uccidere Gesù, il profeta di Do, il profeta dei tempi nuovi. E' una religione mortifera.

E l'evangelista Matteo ricorda la durezza dei sette "guai a voi", la ricorda alla sua comunità e alle comunità di tutti i tempi, perché il pericolo è grave e sempre in agguato, quello di una perversione dell'immagine della religione e della religiosità. Straziante il lamento di Gesù: "Gerusalemme, Gerusalemme tu che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono stati mandati a te!". Gesù è cosciente, stanno per ucciderlo, nel tentativo estremo di toglierlo di mezzo una volta per sempre.

E continua dicendo parole di una tenerezza infinita: "Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto. Ecco, la vostra casa è lasciata a voi deserta". Ebbene nelle parole di Gesù intravvediamo la vera immagine della religione, la vera immagine di Dio che Gesù è venuto a raccontare con la sua vita.

Ecco, vorrei fermarmi su questo aspetto, mettendo in luce tutta la divaricazione tra una religione escludente e una religione accogliente, tra una fede che esclude e una fede che include, tra una comunità che si inaridisce diventando gelida istituzione, portatrice di precetti insopportabili e una comunità che vive la fraternità come profezia della terra nuova. Una divaricazione percepibile in tutta la sua evidenza solo che mettiamo a confronto due immagini, quella delle chiavi che chiudono e quella della chioccia che raduna.

Le chiavi che chiudono: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente: di fatto non vi entrate voi e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare". Sono rappresentanti di un Dio del dominio, di un Dio che mette paura, loro stessi funzionari di una istituzione che mette paura, che crea distanza. Loro, uomini del potere, appartengono a una categoria più alta. Un regime di esclusione. L'altra immagine, la chioccia che raduna: "Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali". Dio è chioccia.

So che qualcuno potrebbe avere perplessità davanti all'affermazione. Ma Gesù ha usato l'immagine, l'ha usata per sé, quasi a dire che la sua vita potrebbe essere riassunta in questa immagine. Che fondamentalmente dice due cose. Dice da un lato la tenerezza di Dio, che ci difende sotto le sue ali, quasi una protezione e il calore di una vicinanza. Dall'altro l'immagine dice che cosa è il sogno di Dio, il suo regno: è radunare, è vivere la fraternità.

Così si esprime il salmo 133: "Ecco, come è bello e come è dolce che i fratelli vivano insieme" Per questo è venuto il figlio di Dio sulla terra. E allora alla domanda: "Ci salverà dalla devastazione la religione?", rispondiamo che ci può salvare una fede che ci racconti la tenerezza di Dio e che ci metta in cuore la passione di radunare, quella della chioccia.

Mi rimane la domanda, la domanda sulla mia passione. Mi ritrovo di più nell'immagine delle chiavi che chiudono la porta del regno di Dio o in quella della chioccia che raduna? Sono uno che crea distanze, cede a pregiudizi, fomenta esclusioni o sono uno che si aggrappa a ogni spiraglio pur di creare consensi, motivi di convergenza, occasioni di pacificazione?
Chi sono?

 

 


 
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