Dominique Barthélemy, Il povero scelto come Signore

(recensione di don Angelo Casati)

Questo libro ha una voce. E non può essere letto, a mi avviso, se non percependo una voce. E' un uomo di studio, un fine esegeta, che parla non da una cattedra universitaria, che di diritto gli spetterebbe, ma da una sedia: a me va di immaginare la sua sedia dentro una cerchia di altre sedie, dove stanno sedute delle "piccole sorelle di Gesù". E già questo dice dell'amore di questo biblista per la categoria del "piccolo", dei "piccoli".

Parla, qui lo senti, e non poteva essere diversamente, per abbondanza della mente e del cuore. Come si parla quando con gli occhi vai a contemplare visi e storie. Meno preoccupato dunque, il biblista, di probabili sconfinamenti cui ti porta la passione del raccontare. Uno sconfinare che è anche dovuto a uno sconfinare della sua mente, abituata alle grandi connessioni. Questo in parte può creare qualche difficoltà a persone, che, come il sottoscritto, non colgono d'istinto le connessioni. Ci si può ritornare. Anche in un secondo tempo. Puoi già inseguire il pensiero per quello che hai già percepito, per la profondità e la bellezza che già vi hai respirato.

Vorrei aggiungere a superamento di qualche inevitabile difficoltà iniziale, che dopo tutto è una risorsa percorrere le pagine di un libro dove il pensiero è in eccesso, anziché impigrirsi in una lettura dove la facilità si sposa al banale. Le pagine avranno qualcosa dia dirti anche quando tu le riprenderai, non appartengono al genere che è subito consumato. Come del resto succede alla Parola di Dio. Anche se so che il biblista all'audacia di questo raffronto mi fulminerebbe con lo sguardo.

Vorrei dire che il libro è una miniera di suggestioni e di stimoli. Come succede per ogni miniera, a noi è chiesto il coraggio di scendere e di scavare. Porteremo alla luce tesori.
Per questo io mi sento qui di ringraziare chi ha raccolto questo materiale, Laura Brusotto e le sue amiche, Carla e le piccole sorelle. Mi ha commosso questo loro desiderio di lasciare il testo come era stato ascoltato, a costo di qualche fatica nella lettura: vi ho scorto un affetto, come di chi vuol risentire perfino il timbro della voce.

Io, ultimo arrivato, uno dei lettori senza titoli accademici, potrei solo sfiorare, tra le molte, qualche pagina di questo libro in cui padre Barthélemy mette a tema la povertà, ma sconfinando. Sconfinando, da quello che potrebbe apparire un tema ristretto, con la sua rara capacità di ritrovarne significati e suggestioni nuove là dove non penseremmo, leggendone le tracce in testi che noi d'istinto non sposeremmo al tema della povertà. Con il risultato stupefacente di una illuminazione reciproca. Penso per esempio al collegamento tra povertà e incarnazione, tra povertà e creazione, prima e seconda creazione, tra povertà ed eucaristia. Leggendo la dimensione della povertà in parabole che immediatamente non collegheremmo al tema, per esempio la parabola del padre prodigo e dei suoi figli, o quella dei vignaioli omicidi. Come a farci consapevoli di un filo rosso che attraversa le Scritture Sacre.

Nominando, come purtroppo ho fatto, la parola "povertà" forse non sono sfuggito a un equivoco, quello di far pensare ad una tematica e quindi al rischio di immaginare il libro come una dissertazione astratta su un tema. Il tema è la carne concreta, l'esistenza concreta reale del povero.

Di cui è rivendicato il diritto di esistere, non semplicemente di essere soccorso, il diritto di sentirsi dire, e questa è buona notizia, di quelle che ti sollevano la fronte, che il povero esiste per Dio. Lui esiste nella stima. Posso sbagliare ma questa sottolineatura è ancora, a mio avviso, poco riconosciuta, poco presente in discorsi e iniziative che si esibiscono come azioni di solidarietà nei confronti dei poveri. Leggo: " l'amore autentico è quello che lancia l'altro nell'esistenza e lo rende libero e preparato per viverla, libero e autonomo. Questo suppone che si sia capaci di stimare gli altri. Essere aiutati è sempre molto ambiguo. Essere aiutati, se non si è stimati, può essere umiliante. Se si è stimati, l'aiuto prende un senso positivo e lo si può accettare senza essere umiliati, certi della stima".

Padre Barthélemy, ripercorrendo le Scritture, viene dunque a dirci che coloro che in qualche misura non esistono nel nostro immaginario perché confinati in una condizione di miseria materiale o morale, sono paradossalmente quelli che esistono per Dio, esistono nella stima di Dio. Nel suo sguardo dunque una stima che li fa essere. Di questa stima che fa essere noi dovremmo essere i testimoni sulla terra. Non possiamo sfuggire dunque alla domanda sul nostro sguardo: com'è il nostro sguardo nei loro confronti?

Siamo sollecitati a uno sguardo, certo, ma anche a un muoverci, come fossimo spinti. Dallo Spirito di Gesù che ci abita. Suggestive al riguardo le riflessioni di Padre Barthélemy sull'incarnazione. Che nella nostra riflessione viene come impoverita. Riflettendo sul fatto che Gesù nella parabola a coloro che soccorrono il povero dice "E' a me che l'avete fatto", padre Barthèlemy scrive: "Questo suppone molto semplicemente il dogma dell'incarnazione, un'incarnazione che non è del tutto compresa, perché si ha la tendenza a limitarla al catechismo dove l'incarnazione sarebbe Dio che si è fatto uomo. Ma Dio non si fa "un uomo", perché se Dio si facesse uomo in mezzo agli uomini, ci sarebbe sempre una scelta: rivolgersi a "quest'uomo-Dio" o agli altri uomini? Inevitabilmente ci sarebbe allora una umanità privilegiata, che sarà quella che il Cristo ha preso nel seno di Maria e le altre sarebbero delle umanità quotidiane e abituali … Appare essenziale che l'incarnazione va fino al supplizio della croce e fino ad una identificazione del Cristo con l'umanità crocifissa"

E ancora: "Chi accoglie il povero accoglie in lui lo Spirito dl Cristo mentre va verso il povero, questo movimento preciso dell'incarnazione è animato dallo Spirito, lo Spirito che è vita … Se noi ci dissociamo, non è solo dal povero, ma prima di tutto dallo Spirito. Contristiamo lo Spirito nel movimento di solidarietà verso il povero, che è un atto nei confronti di Dio".

A salvezza dall'inganno di false pratiche devote, padre Barthélemy i dopo averci ricordato che Gesù, ancora oggi con il suo Spirito è in movimento, si muove verso il povero, scrive: "Lo Spirito non attende che una cosa, di poter consolare il Figlio in croce; e consolarlo attraverso di me, nel mio contatto con il povero, accolto come prossimo, che diviene per ciò stesso mio Signore. Perché nella misura in cui il povero è il Dio fatto uomo, nascosto e dissimulato, da riconoscere e da scoprire, è lui che dovrò scegliere come mio Signore. E' ciò che Gesù vuol dire quando lava i piedi dei discepoli. Vuol dire che è questa la strada per colui che domina. Ora il ricco domina sul povero. Lavare i piedi è riconoscerlo come Signore. E' così che accetto di creare e di essere ri-creato".

Messaggio urgente per noi tutti che aneliamo a creare e ad essere ricreati.

don Angelo


 

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