articoli di d. Angelo


 

Castione della Presolana, 9 agosto 2011


IL SILENZIO DI GESÙ


Voi, penso, mi perdonerete una premessa. Sono lettore innamorato di vangeli, non sono un esegeta, scavo nelle parole. Mi emoziono quando incontro e posso portare alla luce l'oro che le abita. Spesso trovo tracce di Gesù sotto polvere di sabbie, che il tempo e la nostra opacità vi hanno in ampia misura depositato.

Quando leggo sento il rumore dei passi, sono leggeri, senza fanfare, senza esibizioni, senza autocelebrazioni. E' l'incanto. L'incanto della realtà, la realtà della sua persona, del suo vangelo, della sua via. La sua via, tanto diversa da tante vie dello spirito che abbiamo disinvoltamente chiamate cristiane, di Cristo.

Seguo il rumore dei passi. Dove portano? A volte, ve lo confesso, mi porto dentro la sensazione che abbiamo immobilizzato Gesù. In una statua. Giorni fa un mio amico, Giovanni, che anni e anni fa ha adottato un giovane psicopatico, Francesco, mi raccontava che alcuni giorni prima Francesco, occhi velati da estrema tristezza, gli confidava: "Sono triste, la gente mi vede e mi guarda male". Giovanni reagì duro dicendo:. "E poi vanno in chiesa! A fare?". Gli risponde Francesco: "Vanno a pregare le statue".

Entriamo allora nella vita vera di Gesù. E' un richiamo per me, una premessa. Vado per sussulti e confido che voi mi perdoniate. E' la modalità, l'unica che mi appartiene. Vi dirò poche cose. Altre le rincorrerete voi inseguendo il silenzio di Gesù nei vangeli.

Vorrei come primo fotogramma indugiare su un silenzio di Gesù poco sottolineato, oserei dire poco onorato, quello della casa di Nazaret. Sono innamorato della casa di Nazareth. Della casa di Nazareth mi sono innamorato leggendo il Vangelo così come è, e non secondo interpretazioni "devote" e "edificanti". Vedete, a volte è come se non sopportassimo la casa di Nazareth così com'è. Prova ne è il fatto che per noi Gesù Cristo - si fa per dire - sembra esistere dai trenta anni in poi. Allora - finalmente! direbbe qualcuno - ha incominciato il suo ministero. L'opera della salvezza - così si pensa - ha avuto inizio quando quel figlio finalmente uscì di casa, dal suo paese, e andò lontano dai suoi.

Trent'anni sprecati, se giudicassimo le cose secondo un modello di efficienza ecclesiastica, quell'efficienza che ti fa pensare che il regno di Dio lo costruisci quando dalla privatezza della casa entri finalmente nei locali della parrocchia e lì ti dai da fare.

Non riesco - sarà per una mia deformazione mentale o biblica - a pensare che Gesù abbia iniziato il suo ministero a trent'anni. Mi è più familiare pensare che Gesù in tutte le ore della sua vita sia stato un racconto, il racconto dell'amore di Dio. Il problema è che noi, Dio, pensiamo lo si debba raccontare con il bla-bla religioso. E se Dio lo si potesse raccontare anche con il silenzio?

Sono innamorato del silenzio di Nazareth. E vorrei difenderlo. Il silenzio - il sacro silenzio - della "non notizia". Perché anche questo, a mio avviso, è un modo strano di pensare, cioè che il silenzio sulla casa di Nazareth sia imputabile a una amnesia, un'amnesia dei redattori del Vangelo: come se in quella casa l'eccezionale fosse all'ordine del giorno, ma non fu raccontato.

E invece no. A raccontare Dio era ogni giorno il silenzio di una vita senza notizia, una vita di cui nessuno si accorgeva. Vale anche oggi per la nostra vita, per le nostre case. Dove il vangelo è vissuto nel silenzio.

Un silenzio, badate bene, che non può essere presentato, se non arbitrariamente, come il silenzio della passività e dell'inerzia, di una resa cieca alla vita e agli altri. Gli esili spiragli che il testo biblico apre sulla vita nascosta della famiglia di Nazareth sono al riguardo luminosissimi: lasciano infatti intravedere una casa dove la pace che vi regna, il silenzio, non è quello dei cimiteri.

Il silenzio non è accettazione senza la domanda: Giuseppe si chiede il perché di quella maternità inattesa e sconcertante; i genitori si chiedono il perché della apparente disobbedienza del figlio: "Perché ci hai fatto questo?"; il figlio si chiede il perché della ricerca e dell'affanno dei genitori: "Perché mi cercavate?".

Casa del silenzio, la casa di Nazareth, e casa dei perché, come le nostre case. L'ideale non è una casa senza domande, ma la casa che lascia spazio alle domande, a tutte le domande. E, di domanda in domanda, ci si metta in cammino verso il mistero, quello della vita, quello di Dio, quello di ciascuno di noi, mistero che non sarà mai svelato una volta per tutte e per sempre. Casa del mistero dell'altro che non ci consente invasioni, ci chiede sosta silenziosa.

Vengo a un secondo fotogramma. Ora Gesù è uscito dal silenzio della casa di Nazaret e il vangelo di Marco, alle sue prime battute, capitolo primo (Mc 1, 21-39) racconta una giornata di Gesù. E Marco ci dice i luoghi di quella giornata: la sinagoga, la casa, la porta della città, e un imprecisato luogo deserto, un "eremo". Tutto nell'arco di una giornata. E Marco dice i tempi: di giorno, la sera, la notte profonda, il mattino. Lo vediamo andare Gesù, l'uomo che cammina.

Lo vediamo operare quasi con una fretta dentro. C'è questo avverbio ripetuto nel testo, l'avverbio "subito". Come se lo bruciasse una fretta, come se lo divorasse quel "subito". E nel cuore mi viene spontaneo il raffronto, il raffronto con noi. Anche noi divorati dalla fretta. Con una differenza però, ed è sostanziale, che quella di Gesù, quella che teneva tutta la sua giornata, era la fretta per Dio e per gli altri, il Regno di Dio. Possiamo noi dire che alle radici del nostro correre, della nostra vita frenetica, sta, come per Gesù, la passione del Regno, del Regno di Dio, l'amore di Dio e dell'altro?

Dunque viene la sera, è già tramontato il sole e ancora gli portano tutti i malati e gli indemoniati. Ne guarisce molti. Scende la notte, è tramontato il sole. Ed ecco che cosa scrive Marco: "Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e uscito si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che stavamo con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: "Tutti ti cercano". Egli disse loro: "Andiamocene altrove nei villaggi vicini perché io predichi anche là. Per questo infatti sono venuto".

E sembra di capire. A volte lo proviamo anche noi, tutti noi, questo desiderio di silenzio, dopo una giornata in cui ti è pesata addosso la sofferenza del mondo. Come un desiderio di stare con il Padre.

Perdonate la stranezza di questa mia interpretazione che farebbe sussultare ogni buon esegeta: era come se Gesù sentisse il bisogno di portare a Dio tutti quelli che non aveva guarito: la sproporzione tra i "tutti" i malati che gli erano stati portati" e i "molti" che aveva guarito, pochi in confronto ai "tutti". Come se avesse bisogno di portare al Padre questa sproporzione.

E, ancora, come se avesse bisogno di andare al Padre per non venire meno nella fede. Perché la visione di un carico così disumano di sofferenze dell'umanità mette a prova, a dura prova, la nostra fede in Dio. E nel luogo deserto, nella preghiera, hai il coraggio di chiedere che ti sia conservata la fede. Ti sia conservata nonostante tutto.

Ma sfiorando il silenzio della preghiera di Gesù, vorrei anche dirvi del suo richiamo ad una nostra preghiera fatta di silenzi, ci ha messo in guardia dalla preghiera prolissa che confida nelle moltitudine delle parole: "Prega nel segreto e il Padre tuo che vede nel segreto ti ascolterà". Più che le parole, e prima delle parole quando preghi respira nel silenzio una presenza, come succede nel silenzio degli innamorati.

Non so se vi siete soffermati a pensare, ma oserei dire che c'era un silenzio di Gesù per le strade, le sue preghiere non nascono tanto nella sinagoga, nascono dalla strada, perché lui ascoltava e vedeva. Gli nasceva il pensiero di Dio guardando gli uccelli dell'aria, i gigli del deserto, la farina che la donna impastava, l'olio della lampada. Ci vuole silenzio per far parlare le cose. E penso questa sera alle vostre case, alle vostre alle radure dei vostri monti, a voi che le fate parlare, a differenza di noi che, presi dal rumore, corriamo il rischio di avere occhi e non vedere, di avere orecchi e non ascoltare.

Terzo fotogramma: c'è un silenzio impressionante di Gesù nei vangeli, un silenzio che ci sconcerta e ci interroga ed è il silenzio che Gesù impone sulla sua identità di Messia. Fa segni sui malati e dice: "Non dirlo a nessuno". Vuole il silenzio.

Un esempio tra i tanti, sempre al capitolo primo del vangelo di Marco: dall'alba si capisce il giorno! Subito dopo che i discepoli l'ebbero trovato in un luogo deserto a pregare. Marco scrive: "E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni. Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!". Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!". Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: "Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro". Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte".

In luoghi deserti, "eremo" nel testo greco, luoghi di eremo. E' un Gesù preoccupato che passi di lui l'immagine di un Messia dai gesti miracolosi, un Messia trionfante, il Messia dei troni. Rifiuta pubblicità ingannevoli che tradirebbero la sua vera immagine. Voi tutti ricordate che, subito dopo che Pietro l'ebbe proclamato Messia, Gesù, senza perdere tempo, precisò che la sua immagine non aveva niente a che fare con quella di un Messia trionfatore e andava a sposare invece quella di un Messia che dà la vita, che ama a costo di morte di croce. Ricordate anche che Pietro lo prese in disparte per rimproverarlo. Quasi gli dicesse: "Ma chi vuoi che ti venga dietro se ti presenti così, bella pubblicità che ti fai!". E voi tutti sapete anche che Pietro si prese del diavolo quel giorno da parte di Gesù. Nominato Papa e subito sconfessato, pochi secondi dopo. Mette silenzio Gesù, un silenzio assoluto, sulle immagini mondane. È venuto per servire, non come i capi delle nazioni che si fanno servire, loro che si fanno chiamare benefattori e poi dominano.

Quando si affaccia questo equivoco, Gesù taglia con una immediatezza che dovrebbe affascinarci e farci pensare, Cerca il silenzio. Si dilegua. Gli capitò per esempio quando su una montagna quel giorno condivise i cinque pani e i due pesci di un ragazzino con i cinquemila. Fu allora che "la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo! Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo (Gv 6, 14_15). Dimorò Gesù sul monte. E fu monte di notte. Non c'è traccia del nome del monte nei vangeli, ma fu monte di un desiderio, desiderio di solitudine, desiderio di fuga dal delirio delle folle. Montagna della fuga da ogni fraintendimento di via: era venuto per servire e non per essere servito. Nella notte, nel silenzio del monte a confermare la via.

E questa segretezza, "stare nel silenzio", questa segretezza, lasciatemi dire, dimenticata, dimenticata anche dalla chiesa, lui la pretese, badate, anche dai suoi discepoli, che non avrebbero dovuto suonare la tromba come fanno gli ipocriti. Lui che un giorno, ultimo gesto della sua attività pubblica, ultimo a memoria, mise sulla cattedra davanti agli occhi dei discepoli, una povera donna. E questo la dice lunga sulle cattedre. Dove mettiamo noi le cattedre, chi mettiamo in cattedra? Quel giorno lui si trovava nel tempio e vide una donna, vedova, povera, mettere nel tesoro del tempio tutto quello che aveva. Lui "osservava" è scritto "come la folla vi gettava le monete". Mi colpisce a non finire che alla fine del vangelo lui chiami i discepoli, ma anche noi, a osservare questa donna, vedova, povera e il suo gesto profumato di silenzio, lei miracolo compiuto del Vangelo. Alla fine del ministero, è lei, pensate a raccogliere l'eredità del suo messaggio. Chiama i discepoli, li convoca, per che cosa? Perché puntino gli occhi su di lei: "In verità, io vi dico": dunque un insegnamento, insegnamento importante. E chi mette in cattedra? Una poveretta, direbbe qualcuno. Porta lo sguardo sulla donna e ha appena finito di fare appello perché si distolga lo sguardo dai personaggi che passeggiano per le strade ma anche per le mura sacre. Ha appena finito di dire "guardatevi da", come volesse dire, "via lo sguardo da", via gli occhi dalla loro cattedra. Non sono persone, sono personaggi. Detronizzateli dentro, sembra dire, detronizzateli nei vostri occhi e nel vostro cuore. E li indica con immagini che non appartengono solo al passato del suo tempo, hanno attraversato purtroppo, in lungo e in largo, la storia e contaminano anche il nostro tempo, spettacolo triste di professionisti anche del sacro, che amano passeggiare con lunghe vesti variamente colorate, e hanno palchi nelle piazze, primi posti nelle liturgie civili e si gloriano di nomi altisonanti. La condanna per loro dice Gesù, è più severa, perché coprono con il nome di Dio la loro vanità, che crea distanza dalla gente comune, coprono la loro rapina, perché con il nome di Dio divorano le case delle vedove. Sbandierano il ruolo, ma sono solo apparenza, sono ipocrisia. Nel tempio ci sono, ma non con il cuore. Non sono veri. Mi chiedo se questo non potrebbe essere un esercizio da compiere oggi e da insegnare , insegnare a detronizzare. E fare ritorno al silenzio, che non è solo di parole, ma di stile di vita.

Ma nel tempio per grazia c'è quella donna, vera, lei sì c'è, con la profondità e la verità di sé stessa, lei così com'è, c'è con il cuore. Lei silenziosa che non fa cantare l'offerta nel tesoro del tempio. Lei da mettere in cattedra. Voi mi capite, dentro un mondo che fa questione di ruoli di successo, di pubblicità, di riconoscimenti, di rilevanza mediatica - esisti. se vai in televisione, e se non sei là non esisti - dentro un mondo in cui ci si incontra tra maschere, dietro i ruoli, ecco la donna che Gesù mette in cattedra. E perché la mette in cattedra? "Amen" dice, " in verità vi dico: questa vedova così povera ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo, lei invece nella sua miseria vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". Sembra di ascoltare una beatitudine. È un gesto estremo, quello della donna, dice la fede estrema in Dio. Se dai del superfluo, puoi confidare ancora su ciò che ti rimane. Ma sei hai dato tutto? L'unico su cui puoi contare è il tuo Dio.

Vorrei aprire ora una fessura sul silenzio di Gesù che mi verrebbe da chiamare "il silenzio della misericordia".

Che non è, badate bene, un silenzio passivo. Vorrei ricordarvi un esempio, a conferma di uno stile di Gesù, un episodio del vangelo cui è toccata, forse lo sapete, un'avventura strana. Perché era un brano imbarazzante, quello della donna adultera. Tutti gli esperti di Sacre Scritture concordano infatti nel dire che il brano dell'adultera non appartiene al vangelo di Giovanni anche se oggi è nel vangelo di Giovanni. Potrebbe trovare invece una collocazione congrua per il suo stile, per il tema che propone, nel vangelo di Luca, inserito per esempio nel capitolo ventunesimo del suo vangelo.

Ma perché questo brano non ha avuto vita facile e per secoli nessuna comunità l'ha voluto? Scandalizzava, diremmo, il silenzio di Gesù, il silenzio della non condanna. Quasi si subodorasse nelle parole di Gesù - "Nemmeno io ti condanno, d'ora in poi va e non peccare più" - un permesso a peccare.

"Gli condussero una donna sorpresa in adulterio". Secondo la legge di Mosè va lapidata. "La legge a noi ha comandato di lapidare donne come questa". Nelle parole voi sentite tutto il disprezzo per la donna. Ho cercato di immaginare tutto quel clamore, quel pettegolezzo, quel vociare intorno alla donna. E d'improvviso accadde il silenzio. La reazione di Gesù è sorprendente. "Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra". Non sappiamo che cosa abbia scritto. Sappiamo invece quali fossero i pensieri che gli abitavano il cuore. Le parole sulla sabbia non sono rimaste scritte. Invece le parole dette subito dopo, poche parole esaltate dal silenzio, sono rimaste scritte nel vangelo. E le prime furono a smascherare l'ipocrisia. Sì, Gesù rompeva, gli capitò di rompere il suo stile silenzioso con parole dure. Quando? Quando incrociava purtroppo l'ipocrisia, in particolare l'ipocrisia religiosa. "Chi è senza peccato.." le parole ferirono l'aria. Se ne andarono, tutti, sbugiardati. Ritornò il silenzio, il rabbi scriveva per terra. Rimane la donna. E qui è lo scandalo. Una donna, di cui nel vangelo non è registrata una parola che è una che esprima pentimento. Gli altri l'avevano assediata con i loro sguardi dall'alto in basso. Quel rabbi l'aveva guardata dal basso più basso. Aveva colto nei suoi occhi una paura di condanna, uno smarrimento. Si sentì dire, e adesso Gesù si era alzato, era a livello di occhi: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ella rispose: "Nessuno, Signore". "Neanche io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più". Gli altri la incenerivano con il loreo sguardo. Uno sguardo silenzioso, il suo, lui la faceva camminare. Il miracolo degli occhi silenziosi. Che non è buonismo. Un silenzio che fa camminare.

Ci rimangono nel cuore questi undici versetti scandalosi. Per secoli nessuna comunità li ha voluti. Li ospitiamo noi? Li ospitiamo con la vita? Li ospitiamo, chinandoci come fece Gesù? Con lo sguardo silenzioso e tenero di Gesù? Me lo chiedo. Al cuore mi sono ritornate alcune parole del regista Ermanno Olmi. In una sua intervista diceva: "C'è un solo modo per conoscere la foresta: inginocchiarsi e guardarla da vicino". Forse potremmo continuare all'infinito: c'è un solo un modo per conoscere Dio, per conoscere una donna, un uomo, un ragazzo, una città… Ce l'ha insegnato Gesù: "inginocchiarsi e guardarli da vicino". In silenzio.

Penultimo, fotogramma in questa mia incursione, segnata da tutti i miei limiti, nel silenzio di Gesù. Mi sono chiesto: ci furono domande cui Gesù oppose un silenzio? Quando Gesù risponde con il silenzio? Sfioro con un passo del vangelo.
Era in cammino verso Gerusalemme, in cammino verso la sua ora, l'ora delle sue braccia allargate su una croce. E un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". E Gesù non risponde alla domanda. E quando Gesù non risponde alla domanda è perché o la domanda non ha senso o è posta male o, in realtà, è una finta domanda. Una domanda sulla salvezza, voi mi direte, non è di poca importanza. Non dovremmo al contrario preoccuparci quando nessuno si fa più una domanda sulla salvezza?

Ma forse la domanda è posta male. In che senso e perché? Perché è una domanda posta sulla pelle degli altri. Si discute di altri. Non entro in gioco io, non metto in questione me stesso: io mi salvo o non mi salvo? Penso, perdonate, alla moltitudine delle nostre riunioni in cui in questione sono sempre gli altri. A volte immagino che, se Gesù entrasse, zittirebbe i nostri discorsi sulla pelle degli altri: "Sono tanti o pochi quelli che si salvano? E quand'anche sapessimo il numero, che cosa cambierebbe? Organizzeremmo una tavola rotonda per discutere sul numero? Così all'infinito? Gesù taglia corto: "sono tanti o sono pochi?" Lui cambia il soggetto: dalla terza persona, che riguarda gli altri, alla seconda che riguarda noi: "Sforzatevi, sforzatevi voi di entrare. In questione siete voi. Siete implicati voi". Quante riunioni, delle nostre, morirebbero sul colpo, se pensassimo al silenzio che Gesù impone alle domande sbagliate! Morirebbero sul nascere.

E vengo all'ultimo fotogramma, solo un accenno, potremmo starci una sera, ultimo fotogramma cui potremmo dare il titolo: "il silenzio nelle ultime ore della sua vita".

Anche in quelle ultime ore, sballottato da un tribunale all'altro, in mezzo a vociare di soldati e di accusatori, splende come di luce inviolata, il suo silenzio. È emozionante la lettura della Passione, che ci fa compagni di viaggio, del suo ultimo tratto di cammino. Emozionante perché vedi come una luce camminare, pulsare dentro una bestialità trionfante, dentro un vociare scomposto, dentro una menzogna avvilente: lui, il Signore, lui non sgualcito nella sua anima - "possono uccidere il corpo" diceva "ma non possono uccidere l'anima - lui nel suo silenzio, lui sfigurato ma l'unico uomo vero, bello, il più bello in umanità, vincitore in umanità. Al punto che anche il centurione pagano lo vede così "sopra", così sopra in umanità, che esclama: "Ma costui davvero è figlio di Dio". Lui, il Signore, passando in silenzio la valle oscura della nostra disumanità, vi ha seminato lo splendore, la luce del suo amore, un amore nonostante tutto.

Ebbene ultima sosta di questa sera - ma solo per contemplare come attraverso una fessura - è la sosta al silenzio che Gesù ha patito in tutta la sua ampiezza e drammaticità, il silenzio di Dio, sulla croce. Breve e commossa sosta, breve anche perché la scorsa settimana un biblista, cui non potrei reggere il minimo confronto, il prof. Roberto Vignolo, vi ha parlato del silenzio di Dio.

Vorrei dirvi che in quel silenzio di Dio che non risponde noi misuriamo, sia pur da lontano, tutta l'assolutezza delle fede di Gesù. Un mio amico, padre David Maria Turoldo ha scritto in una sua poesia:

No, credere a Pasqua non è
giusta fede:
troppo bello sei a Pasqua!

Fede vera
è al venerdì santo
quando Tu non c'eri
lassù!

Quando non una eco
risponde
al tuo alto grido

e a stento il Nulla
dà forma
alla tua assenza.
(Canti ultimi, p. 103).

Vorrei anche dirvi che ringrazio Gesù di essere passato in questo silenzio, il silenzio di Dio nella sua morte. Il passaggio della morte è doloroso, come è doloroso il passaggio stretto in parete per chi adora le vette: ti è chiesto di rimpicciolirti per sgusciare tra roccia e roccia, fino a scorticarti, pelle e braccia e mani, fino a sentirtele bruciare. Ma poi sei fuori, sei nell'immensità della vetta. Ebbene mi dà coraggio sapere che sono in cordata e che lui, lui il primo, Gesù, non perde, tiene avvinghiata a sé la fune, lui è di quelli che non vogliono perdere nessuno. A volte anche lo ringrazio perché non si è risparmiato in parete, lui, Gesù. Non è planato sulla vetta dall'alto, ha sudato e tremato nel giardino, è morto in un grido. E' morto nel silenzio, il silenzio di Dio. Morto in un grido, che era di dolore, ma non di terrore. Lo ringrazio di non essere andato incontro alla morte con fare spavaldo, da eroe, ma come uno di noi. Come uno povero. Come me. Lo sentirò fino all'estremo compagno di cammino e di scalate. Compagno anche del turbamento del cuore: "Ora l'anima mia è turbata" (Gv 12, 27): disse nell'ora in cui, braccato, sentiva che il cerchio stava per chiudersi in una morte di croce.

Ma il silenzio della croce, lui ce l'ha ricordato, non era silenzio morto, silenzio senza futuro. Era silenzio di attesa. Era il silenzio del seme nella terra. Non era spegnimento. Era brace. Meditandolo mi venne un giorno di scrivere e così faccio fine alle troppe mie parole lontane dal silenzio:

Come brace di fuoco
sotto coltre
pesante d ceneri,
come chicco di grano
in terra nera
il tuo corpo a riposo
nell'ombra stupita
di una grotta.
E pietra e soldati
a presidiare la morte.
E che sia morto per sempre.
E fu triduo di silenzio.
E noi a contare
con te giorni di silenzio,
l'angoscia del nulla,
il peso del fallimento,
la tomba sigillata,
il tuo silenzio, o Dio.
Arde nel silenzio
come brace il tuo corpo
sfioriamo a mani sospese
le ceneri.
Ascoltiamo il tepore:
sarà fuoco
sarà vento della risurrezione.


 

 
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